Ricordo
le parole di un collega, suonatore di bassotuba, alla domanda sul perché avesse
scelto di studiare proprio quello strumento:
«Non
sono stato io a decidere: è lui che ha scelto me.»
Non
credo occorra molta fantasia per comprendere che stiamo parlando di uno
strumento assai particolare. Non fosse altro perché appartiene a quella schiera
di strumenti (come per esempio la fisarmonica o il mandolino) che hanno
compiuto un lungo e fastidioso cammino prima di essere ammessi nell’organico dei
conservatori e quindi inseriti ufficialmente in ambito culturale.
In
verità il bassotuba ha fatto il suo ingresso in conservatorio soltanto attorno
al nuovo secolo (e ancora oggi si contano appena una ventina di classi in tutto
il paese). In ogni caso, sino a quel tempo, il percorso scolastico di un aspirante
tubista era limitato in sostanza al campo bandistico. E naturalmente per partecipare
a concorsi nelle orchestre non era richiesto alcun titolo di studio: l’unico
requisito era di saper suonare bene lo strumento. Capitava così che un tubista
di una qualche semplice banda di paese potesse essere catapultato nella
diversissima realtà dell’orchestra di un importante teatro di tradizione. E’
facile capire come a quel punto, il diverso livello sociale e culturale poteva essere
causa di incomprensioni in entrambi i sensi.