giovedì 29 dicembre 2016

L'orchestrina di Nale

Mio padre si chiamava Nale. Giovenale era il nome completo, dal patrono della nostra città, ma da tutti era conosciuto come “Nale ‘l barbè” (Nale il barbiere). La sua bottega si trovava proprio sulla via principale ed era composta da due grandi stanze. Nella prima vi era naturalmente tutta l’attrezzatura per soddisfare barbe e capelli dei clienti, mentre nel retro erano custoditi gli strumenti della sua vera passione: pianoforte, violino, fisarmonica e chitarra.
Da giovane aveva fatto grandi sacrifici per studiare musica. Allora i Conservatori erano pochi e riservati agli eletti. Così aveva trovato un bravo maestro ormai in pensione e si sobbarcava 40 chilometri in bicicletta, tra andata e ritorno, per prendere lezione di violino e pianoforte. Nel frattempo faceva l'apprendista nella bottega di un barbiere. Aveva poi anche avuto l’opportunità di entrare a far parte, come violinista, di una compagnia di operette, ma prima s’era messa di mezzo la salute e infine un padre che considerava quella passione una perdita di tempo. Anzi, per convincerlo del tutto, lo aveva aiutato a mettersi in proprio come barbiere.

Rassegnatosi all'idea, Nale aveva almeno cercato il modo di conciliare il lavoro con quella passione e presto la sua bottega era diventata un ritrovo per appassionati delle sette note e poteva capitare che durante un taglio “all’Umberta”, un cliente in attesa si esibisse nel retro sullo strumento preferito.
Ma l'anima musicale della bottega si manifestava completamente sul far della sera, una volta abbassata la serranda (che in verità rimaneva leggermente rialzata, per permettere agli amici di entrare seppur in modo furtivo). Prendeva vita così un gruppo selezionato di appassionati dei generi musicali più disparati, dalle melodie d'operetta al nuovo ritmo sincopato poiché la musica aveva il potere di unire non solo i gusti, ma anche di azzerare le divergenze politiche o sportive. Si racconta addirittura come, durante la guerra, fossero stati ospitati in particolari occasioni alcuni ufficiali nazisti, anch'essi musicisti, che avevano scoperto quella strana commistione tra barba, capelli e musica.
Quelle serate erano dunque contrassegnate dalla magica atmosfera che distingue ogni passione e non è difficile immaginare che si concludessero fatalmente con il sapore di un salame affettato e qualche bicchiere di vino. Insomma quella bottega, per Nale, si era trasformata in una seconda casa.
Nonostante fosse restio a raccontare fatti privati di quel periodo della sua vita, una volta si era lasciato sfuggire l’aneddoto di quando, sempre in tempo di guerra, si era attardato nella bottega con una gentile madamin, mentre era scattato il coprifuoco. Nonostante il pericolo avevano deciso di uscire all'aperto in quanto la ragazza era attesa a casa dai genitori. Si avventurarono quindi lungo la via principale quando, attraversando una piazzetta, all'improvviso furono sorpresi da una fitta sparatoria. Istintivamente Nale aveva allora afferrato la ragazza a guisa di scudo di protezione e indietreggiando aveva trovato riparo in un androne, mentre la ragazza, cercando di divincolarsi, andava ripetendo: “E' tutto qui il bene che mi vuoi?”.
Non sappiamo molto di quegli anni salvo che, al termine della guerra, sulla soglia dei trentacinque anni Nale decise che era il momento di mettere su famiglia e fu così che sposò Mariuccia, una ragazza che aveva visto crescere, e bene, a pochi passi dalla sua stessa casa.
Nacque presto una bimba, Silvana, e sei anni più tardi, Tato. Ma la musica non fu dimenticata, anzi fu proprio in quegli anni che Nale sviluppò l'idea di dar vita ad un'orchestrina tutta sua. Il modello era quello delle migliori orchestre del tempo che facevano capo a due illustri maestri quali Cinico Angelini e Pippo Barzizza. La stampa aveva creato una rivalità ad arte tra i due: più melodico Angelini, più swinger Barzizza. La predilezione di Nale era per il primo, soprattutto per l'attenzione e la cura che metteva nella preparazione dei cantanti. Infatti l'orchestrina di Nale, che oscillava tra sei e otto elementi, prevedeva sempre una voce maschile ed una femminile.
Poco prima della mia nascita la nostra casa si ingrandì di ben tre stanze, tra cui un ampio salone in cui prese dimora il pianoforte fino ad allora custodito nel retro della bottega. Alla sera Nale seguiva la preparazione dei suoi cantanti provando e riprovando un repertorio che si rifaceva ai successi di Nilla Pizzi, Tonina Torielli, Gino Latilla, solo per citarne alcuni degli artisti del tempo. Si racconta che mia madre, ormai prossima al parto, si riposasse nella stanza accanto poiché durante quelle esecuzioni il piccolo nella pancia smetteva di scalciare e si acquietava.
Non fu difficile per Nale mettere insieme i giusti elementi dell'orchestra, scegliendo appunto tra gli appassionati che frequentavano la sua bottega. In quei tempi i complessi musicali erano assai ricercati e quindi rappresentavano un'occasione di guadagno oltre che di divertimento. Inoltre Nale poteva ora disporre di una grande casa per ospitare le prove di un gruppo anche numeroso.
Quando ripenso alla mia infanzia tra i ricordi più indelebili vi sono proprio le prove dell'orchestrina che si svolgevano ogni lunedì sera.
Ad eccitarmi erano soprattutto i preparativi. Bisognava infatti prima di tutto attrezzare la sala attorno al pianoforte. Il grande tavolo veniva spostato a lato, poi i pavimenti venivano ricoperti da cartoni, quindi occorreva trasportare i tamburi della batteria che custodivamo in un sottoscala, sistemare le sedie e i leggii per i musicisti. Poi toccava a me, recuperare i miei giocattoli preferiti da sistemare sotto il grande tavolo, costruito senza risparmio e con abilità di incisore dallo zio Francesco che diventava quindi il mio nascondiglio segreto.
Per primi arrivavano i due cantanti: Livio (lavorava come garzone nella bottega di Nale), e Antonia, detta Tunieta che incominciavano a scaldare la voce sostenuti dagli arpeggi di Nale al pianoforte. Nel frattempo, alla spicciolata, ecco arrivare gli altri musicisti: Gepin che suonava il clarinetto e il sax, Rolandone con la sua tromba argentata, Lallo con la fisarmonica, mentre Piero si sedeva alla batteria.
Allora io uscivo dal mio nascondiglio e loro mi facevano un sacco di feste.
Alle volte si alternavano anche altri musicisti perché nessuno di loro lo faceva di professione. Prima di Tunieta, ad esempio, si erano alternate altre voci femminili. Ricordo che Nale raccontava di Adele, dotata di una bella voce, ma scarso senso del ritmo, che sovente andava fuori tempo. Nel corso dell'esecuzione poteva quindi capitare che Lallo si rivolgesse a Nale dicendo con trepidazione: “Ci è scappata...” e Nale rispondesse con un mezzo sorriso: “E allora andiamo a prenderla...” e ancora poco dopo Lallo trionfante: “Presa!”. Naturalmente non durò molto. Venne sostituita da Margherita che da poco si era sposata. Il marito naturalmente la seguiva durante le serate, ma annoiandosi un poco, finiva con l'invitare qualche avvenente signora alla danza. Purtroppo appena scorgeva il marito in pista, Margherita veniva colta da una grande agitazione e si rifiutava di cantare o peggio durante l'esecuzione scoppiava in in singhiozzi che il microfono diffondeva in tutto il locale...
Fu così che arrivò Tunieta che io ricordo come una donna solare, dal fisico imponente e che quando mi abbracciava quasi rischiavo di soffocare nel suo fiorente petto.
Aveva una voce incantevole che sapeva usare con garbo e sentimento. Purtroppo a tanta bravura non corrispondeva un adeguato aspetto fisico, penalizzato da un viso squadrato e un naso informe.
Tra gli aneddoti di Nale c'è n'era anche uno che la riguardava personalmente. Si riferiva all'estate in cui l' orchestrina si esibiva al Gran Paradiso di Cuneo, un locale all'aperto lungo il Viale degli Angeli. Il luogo era transennato, ma tuttavia la musica arrivava anche oltre e molti curiosi si radunavano lungo il viale ad ascoltare. Quando Tunieta cantava la gente la seguiva con ammirazione. Si racconta allora di un giovane rapito da quella voce celestiale che andava dicendo agli amici: “Questa è la voce di un angelo! Voglio vedere, voglio conoscere quest'angelo di donna!”. Allora gli amici avevano fatto una colletta per acquistare un biglietto di entrata da donare all'amico. Quella sera, appena Tunieta aveva iniziato la sua esibizione il ragazzo, emozionato, era entrato nella balera, per uscire però poco dopo dicendo agli amici con fare sconsolato:
Credetemi: dell'angelo, c'è solo la voce...”.
In seguito, per il periodo estivo, l'orchestrina era stata ingaggiata ad esibirsi nel prestigioso Albergo Edelwaiss di Lurisia Terme. Ricordo che per i suoi spostamenti Nale aveva acquistato una motocicletta Iso F/150 che alle volte serviva anche per delle gite famigliari. Viaggiavamo quindi in quattro su quella moto e al nostro ritorno i vicini ci accoglievano festosi, quasi increduli dello scampato pericolo!
Tornando al Edelwaiss, anche in tale ambito circolavano storie curiose.
Occorre sapere che durante le serate Nale era solito posizionare sul pianoforte un cestino destinato alla mance per l'orchestra. Qualche avventore si avvicinava per chiedere l'esecuzione di una tale canzone e se metteva una banconota nel cestino veniva accontentato. In una occasione, verso la fine della serata, gli orchestrali si accorsero che accanto al pianoforte di Nale stazionava da un po' di tempo un' avvenente signorina dal trucco piuttosto marcato. Lallo aveva allora strizzato l'occhio all'amico, pensando a una sua conquista, ma Nale che era uomo di mondo non si era lasciato circuire e più tardi aveva chiarito: “Quella signorina non mirava tanto a me, quanto al cestino che stasera era pieno di banconote...”.
In un'altra occasione avevano tutti rischiato di finire nella cronaca, ma non per l'abilità musicale. Dunque, sempre sul finire di una serata si era avvicinato al pianoforte il Commendatore Tal dei Tali, un elegante e facoltoso abituè dell'Hotel. Con fare furtivo aveva depositato nel cestino una banconota di quelle che Nale e i suoi musicisti riconoscevano solo nei sogni, dicendo a bassa voce: “Questo per un'ora di musica a lume di candela, appena chiude il locale”. Nale pensò che per quella cifra avrebbero suonato anche fino alle prime luci dell'alba.
Avvisò quindi gli altri orchestrali che alla fine della serata finsero di riporre gli strumenti e quando l'ultimo avventore fu uscito, li ripresero in mano. Quindi, con le luci soffuse, suonando a memoria, presero a eseguire “Non so dir ti voglio bene” (una dolce canzone di Gorni Kramer) mentre nel buio della sala il Commendatore e la sua avvenente dama ballavano guancia a guancia. Era veramente una scena romantica e tutto sembrava andare per il meglio quando all'improvviso si udì un certo trambusto, poi voci concitate, infine ecco l'apparizione, come un “coup de theatre”, di una nuova, imprevista figura femminile, tanto elegante quanto alterata: la moglie del Commendatore! Nel parapiglia che ne seguì la musica andò tristemente spegnendosi e prima che tutti avessero ben compreso cosa stava accadendo, Nale svuotò velocemente il cestino delle mance e poi diede un “via” che di attacco musicale aveva assai poco e che fu ben recepito come un “si salvi chi può”.
A sentire Nale, le serate forse più divertenti erano però i cosiddetti “Veglioni”. C'era naturalmente il Veglione di Capodanno o quello del Carnevale, ma poi il desiderio di divertirsi ne moltiplicava le occasioni e quindi c'era il Veglione degli studenti, degli sportivi, delle Miss e così via, senza limiti alla fantasia.
Da quelle serate Nale tornava a casa nel cuore della notte, stanco e qualche volta magari un po' “su di giri”. Ricordo che mi capitava di svegliarmi all'improvviso e vedere mio padre con un cappellino di cartone in testa oppure una trombetta di cartone tra le labbra. Amava infatti portare a casa da quelle feste qualche souvenirs che poi custodiva in un grande baule.
Una delle storie più divertenti la raccontava però mia madre poiché in quel caso a Nale sfuggivano molti particolari.
In una fredda notte d'inverno, forse un Capodanno, era in corso un'abbondante nevicata. Nale, con la sua orchestrina, aveva partecipato al Veglione e mia madre, preoccupata per il ritardo, era in attesa alla finestra, quando fu attratta da alcune voci provenienti dalla strada innevata. Si affacciò e vide seduti sul manto di neve Nale e il suo fido cantante Livio. I due uomini stavano gustando in tutta allegria dei cuneesi al ruhm, disseminando sulla bianca neve la rossa carta luccicante. Vedendola alla finestra, Nale ebbe un flebile sussulto dicendo: “Gelsomina, apri il portone...” e per rendere meglio l'idea Livio prese a cantare quel ritornello di Peter van Wood:
Butta la chiave,
butta la chiave.
Cara piccina lasciami entrare,
butta la chiave del porton.
Mamma che freddo,
freddo da cani.
Fammi salire, non si può stare
tutta la notte sul porton.
Se il tuo perdon
questa sera avrò,
mai più,
mai più ritarderò. No, no.

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