Mio padre si chiamava
Nale. Giovenale era il nome completo, dal patrono della nostra città,
ma da tutti era conosciuto come “Nale ‘l barbè” (Nale il
barbiere). La sua bottega si trovava proprio sulla via principale ed
era composta da due grandi stanze. Nella prima vi era naturalmente
tutta l’attrezzatura per soddisfare barbe e capelli dei clienti,
mentre nel retro erano custoditi gli strumenti della sua vera
passione: pianoforte, violino, fisarmonica e chitarra.
Da giovane aveva fatto
grandi sacrifici per studiare musica. Allora i Conservatori erano
pochi e riservati agli eletti. Così aveva trovato un bravo maestro
ormai in pensione e si sobbarcava 40 chilometri in bicicletta, tra
andata e ritorno, per prendere lezione di violino e pianoforte. Nel
frattempo faceva l'apprendista nella bottega di un barbiere. Aveva
poi anche avuto l’opportunità di entrare a far parte, come
violinista, di una compagnia di operette, ma prima s’era messa di
mezzo la salute e infine un padre che considerava quella passione una
perdita di tempo. Anzi, per convincerlo del tutto, lo aveva aiutato a
mettersi in proprio come barbiere.
Rassegnatosi all'idea,
Nale aveva almeno cercato il modo di conciliare il lavoro con quella
passione e presto la sua bottega era diventata un ritrovo per
appassionati delle sette note e poteva capitare che durante un taglio
“all’Umberta”, un cliente in attesa si esibisse nel retro sullo
strumento preferito.
Ma l'anima musicale della
bottega si manifestava completamente sul far della sera, una volta
abbassata la serranda (che in verità rimaneva leggermente rialzata,
per permettere agli amici di entrare seppur in modo furtivo).
Prendeva vita così un gruppo selezionato di appassionati dei generi
musicali più disparati, dalle melodie d'operetta al nuovo ritmo
sincopato poiché la musica aveva il potere di unire non solo i
gusti, ma anche di azzerare le divergenze politiche o sportive. Si
racconta addirittura come, durante la guerra, fossero stati ospitati
in particolari occasioni alcuni ufficiali nazisti, anch'essi
musicisti, che avevano scoperto quella strana commistione tra barba,
capelli e musica.
Quelle serate erano dunque
contrassegnate dalla magica atmosfera che distingue ogni passione e
non è difficile immaginare che si concludessero fatalmente con il
sapore di un salame affettato e qualche bicchiere di vino. Insomma
quella bottega, per Nale, si era trasformata in una seconda casa.
Nonostante fosse restio a
raccontare fatti privati di quel periodo della sua vita, una volta si
era lasciato sfuggire l’aneddoto di quando, sempre in tempo di
guerra, si era attardato nella bottega con una gentile madamin,
mentre
era scattato il
coprifuoco. Nonostante il pericolo
avevano deciso di uscire all'aperto in quanto la ragazza era attesa a
casa dai genitori. Si avventurarono quindi lungo la via principale
quando, attraversando una piazzetta, all'improvviso furono sorpresi
da una fitta sparatoria. Istintivamente Nale aveva allora afferrato
la ragazza a guisa di scudo di protezione e indietreggiando aveva
trovato riparo in un androne, mentre la ragazza, cercando di
divincolarsi, andava ripetendo: “E' tutto qui il bene che mi
vuoi?”.
Non sappiamo molto di
quegli anni salvo che, al termine della guerra, sulla soglia dei
trentacinque anni Nale decise che era il momento di mettere su
famiglia e fu così che sposò Mariuccia, una ragazza che aveva visto
crescere, e bene, a pochi passi dalla sua stessa casa.
Nacque presto una bimba,
Silvana, e sei anni più tardi, Tato. Ma la musica non fu
dimenticata, anzi fu proprio in quegli anni che Nale sviluppò l'idea
di dar vita ad un'orchestrina tutta sua. Il modello era quello delle
migliori orchestre del tempo che facevano capo a due illustri maestri
quali Cinico Angelini e Pippo Barzizza. La stampa aveva creato una
rivalità ad arte tra i due: più melodico Angelini, più swinger
Barzizza. La predilezione di Nale era per il primo, soprattutto per
l'attenzione e la cura che metteva nella preparazione dei cantanti.
Infatti l'orchestrina di Nale, che oscillava tra sei e otto elementi,
prevedeva sempre una voce maschile ed una femminile.
Poco prima della mia
nascita la nostra casa si ingrandì di ben tre stanze, tra cui un
ampio salone in cui prese dimora il pianoforte fino ad allora
custodito nel retro della bottega. Alla sera Nale seguiva la
preparazione dei suoi cantanti provando e riprovando un repertorio
che si rifaceva ai successi di Nilla Pizzi, Tonina Torielli, Gino
Latilla, solo per citarne alcuni degli artisti del tempo. Si racconta
che mia madre, ormai prossima al parto, si riposasse nella stanza
accanto poiché durante quelle esecuzioni il piccolo nella pancia
smetteva di scalciare e si acquietava.
Non fu difficile per Nale
mettere insieme i giusti elementi dell'orchestra, scegliendo appunto
tra gli appassionati che frequentavano la sua bottega. In quei tempi
i complessi musicali erano assai ricercati e quindi rappresentavano
un'occasione di guadagno oltre che di divertimento. Inoltre Nale
poteva ora disporre di una grande casa per ospitare le prove di un
gruppo anche numeroso.
Quando ripenso alla mia
infanzia tra i ricordi più indelebili vi sono proprio le prove
dell'orchestrina che si svolgevano ogni lunedì sera.
Ad eccitarmi erano
soprattutto i preparativi. Bisognava infatti prima di tutto
attrezzare la sala attorno al pianoforte. Il grande tavolo veniva
spostato a lato, poi i pavimenti venivano ricoperti da cartoni,
quindi occorreva trasportare i tamburi della batteria che custodivamo
in un sottoscala, sistemare le sedie e i leggii per i musicisti. Poi
toccava a me, recuperare i miei giocattoli preferiti da sistemare
sotto il grande tavolo, costruito senza risparmio e con abilità di
incisore dallo zio Francesco che diventava quindi il mio
nascondiglio segreto.
Per primi arrivavano i due
cantanti: Livio (lavorava come garzone nella bottega di Nale), e
Antonia, detta Tunieta che incominciavano a scaldare la voce
sostenuti dagli arpeggi di Nale al pianoforte. Nel frattempo, alla
spicciolata, ecco arrivare gli altri musicisti: Gepin che suonava il
clarinetto e il sax, Rolandone con la sua tromba argentata, Lallo con
la fisarmonica, mentre Piero si sedeva alla batteria.
Allora io uscivo dal mio
nascondiglio e loro mi facevano un sacco di feste.
Alle volte si alternavano
anche altri musicisti perché nessuno di loro lo faceva di
professione. Prima di Tunieta, ad esempio, si erano alternate altre
voci femminili. Ricordo che Nale raccontava di Adele, dotata di una
bella voce, ma scarso senso del ritmo, che sovente andava fuori
tempo. Nel corso dell'esecuzione poteva quindi capitare che Lallo si
rivolgesse a Nale dicendo con trepidazione: “Ci è scappata...” e
Nale rispondesse con un mezzo sorriso: “E allora andiamo a
prenderla...” e ancora poco dopo Lallo trionfante: “Presa!”.
Naturalmente non durò molto. Venne sostituita da Margherita che da
poco si era sposata. Il marito naturalmente la seguiva durante le
serate, ma annoiandosi un poco, finiva con l'invitare qualche
avvenente signora alla danza. Purtroppo appena scorgeva il marito in
pista, Margherita veniva colta da una grande agitazione e si
rifiutava di cantare o peggio durante l'esecuzione scoppiava in in
singhiozzi che il microfono diffondeva in tutto il locale...
Fu così che arrivò
Tunieta che io ricordo come una donna solare, dal fisico imponente e
che quando mi abbracciava quasi rischiavo di soffocare nel suo
fiorente petto.
Aveva una voce incantevole
che sapeva usare con garbo e sentimento. Purtroppo a tanta bravura
non corrispondeva un adeguato aspetto fisico, penalizzato da un viso
squadrato e un naso informe.
Tra gli aneddoti di Nale
c'è n'era anche uno che la riguardava personalmente. Si riferiva
all'estate in cui l' orchestrina si esibiva al Gran Paradiso di
Cuneo, un locale all'aperto lungo il Viale degli Angeli. Il luogo era
transennato, ma tuttavia la musica arrivava anche oltre e molti
curiosi si radunavano lungo il viale ad ascoltare. Quando Tunieta
cantava la gente la seguiva con ammirazione. Si racconta allora di un
giovane rapito da quella voce celestiale che andava dicendo agli
amici: “Questa è la voce di un angelo! Voglio vedere, voglio
conoscere quest'angelo di donna!”. Allora gli amici avevano fatto
una colletta per acquistare un biglietto di entrata da donare
all'amico. Quella sera, appena Tunieta aveva iniziato la sua
esibizione il ragazzo, emozionato, era entrato nella balera, per
uscire però poco dopo dicendo agli amici con fare sconsolato:
“Credetemi: dell'angelo,
c'è solo la voce...”.
In seguito, per il periodo
estivo, l'orchestrina era stata ingaggiata ad esibirsi nel
prestigioso Albergo Edelwaiss di Lurisia Terme. Ricordo che per
i suoi spostamenti Nale aveva acquistato una motocicletta Iso F/150
che alle volte serviva anche per delle gite famigliari. Viaggiavamo
quindi in quattro su quella moto e al nostro ritorno i vicini ci
accoglievano festosi, quasi increduli dello scampato pericolo!
Tornando al Edelwaiss,
anche in tale ambito circolavano storie curiose.
Occorre sapere che durante
le serate Nale era solito posizionare sul pianoforte un cestino
destinato alla mance per l'orchestra. Qualche avventore si avvicinava
per chiedere l'esecuzione di una tale canzone e se metteva una
banconota nel cestino veniva accontentato. In una occasione, verso la
fine della serata, gli orchestrali si accorsero che accanto al
pianoforte di Nale stazionava da un po' di tempo un' avvenente
signorina dal trucco piuttosto marcato. Lallo aveva allora strizzato
l'occhio all'amico, pensando a una sua conquista, ma Nale che era
uomo di mondo non si era lasciato circuire e più tardi aveva
chiarito: “Quella signorina non mirava tanto a me, quanto al
cestino che stasera era pieno di banconote...”.
In un'altra occasione
avevano tutti rischiato di finire nella cronaca, ma non per l'abilità
musicale. Dunque, sempre sul finire di una serata si era avvicinato
al pianoforte il Commendatore Tal dei Tali, un elegante e facoltoso
abituè dell'Hotel. Con fare furtivo aveva depositato nel cestino una
banconota di quelle che Nale e i suoi musicisti riconoscevano solo
nei sogni, dicendo a bassa voce: “Questo per un'ora di musica a
lume di candela, appena chiude il locale”. Nale pensò che per
quella cifra avrebbero suonato anche fino alle prime luci dell'alba.
Avvisò quindi gli altri
orchestrali che alla fine della serata finsero di riporre gli
strumenti e quando l'ultimo avventore fu uscito, li ripresero in
mano. Quindi, con le luci soffuse, suonando a memoria, presero a
eseguire “Non so dir ti voglio bene” (una dolce canzone di Gorni
Kramer) mentre nel buio della sala il Commendatore e la sua avvenente
dama ballavano guancia a guancia. Era veramente una scena romantica e
tutto sembrava andare per il meglio quando all'improvviso si udì un
certo trambusto, poi voci concitate, infine ecco l'apparizione, come
un “coup de theatre”, di una nuova, imprevista figura femminile,
tanto elegante quanto alterata: la moglie del Commendatore! Nel
parapiglia che ne seguì la musica andò tristemente spegnendosi e
prima che tutti avessero ben compreso cosa stava accadendo, Nale
svuotò velocemente il cestino delle mance e poi diede un “via”
che di attacco musicale aveva assai poco e che fu ben recepito come
un “si salvi chi può”.
A sentire Nale, le serate
forse più divertenti erano però i cosiddetti “Veglioni”. C'era
naturalmente il Veglione di Capodanno o quello del Carnevale, ma poi
il desiderio di divertirsi ne moltiplicava le occasioni e quindi
c'era il Veglione degli studenti, degli sportivi, delle Miss e così
via, senza limiti alla fantasia.
Da quelle serate Nale
tornava a casa nel cuore della notte, stanco e qualche volta magari
un po' “su di giri”. Ricordo che mi capitava di svegliarmi
all'improvviso e vedere mio padre con un cappellino di cartone in
testa oppure una trombetta di cartone tra le labbra. Amava infatti
portare a casa da quelle feste qualche souvenirs che poi custodiva in
un grande baule.
Una delle storie più
divertenti la raccontava però mia madre poiché in quel caso a Nale
sfuggivano molti particolari.
In una fredda notte
d'inverno, forse un Capodanno, era in corso un'abbondante nevicata.
Nale, con la sua orchestrina, aveva partecipato al Veglione e mia
madre, preoccupata per il ritardo, era in attesa alla finestra,
quando fu attratta da alcune voci provenienti dalla strada innevata.
Si affacciò e vide seduti sul manto di neve Nale e il suo fido
cantante Livio. I due uomini stavano gustando in tutta allegria dei
cuneesi al ruhm, disseminando sulla bianca neve la rossa carta
luccicante. Vedendola alla finestra, Nale ebbe un flebile sussulto
dicendo: “Gelsomina, apri il portone...” e per rendere meglio
l'idea Livio prese a cantare quel ritornello di Peter van Wood:
Butta
la chiave,
butta la chiave.
Cara piccina lasciami entrare,
butta la chiave del porton.
Mamma che freddo,
freddo da cani.
Fammi salire, non si può stare
tutta la notte sul porton.
Se il tuo perdon
questa sera avrò,
mai più,
mai più ritarderò. No, no.
butta la chiave.
Cara piccina lasciami entrare,
butta la chiave del porton.
Mamma che freddo,
freddo da cani.
Fammi salire, non si può stare
tutta la notte sul porton.
Se il tuo perdon
questa sera avrò,
mai più,
mai più ritarderò. No, no.
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