Gianmario Bonino - Il genis e altri strumenti
Il genis e altri strumenti
Un’esperienza
di vita musicale e umana vista attraverso gli attrezzi di un’arte che
appartiene a tutti, senza distinzione di merito o di luogo.
Gli
strumenti hanno l’anima di che li suona.
Il genis
Questo racconto potrà interessare forse solo chi ha vissuto in tempi passati la frequentazione di una banda musicale. Tuttavia chiunque avrà la pazienza di leggerlo fino in fondo potrà cogliere il senso di una morale comune.
Dovete sapere che c’è uno strumento musicale
che pochi conoscono e forse nessuno ha mai desiderato suonare. Eppure da molti
è stato suonato anche se con risultati spesso controversi. Questo strumento si
chiama genis.
E’ noto ai bandisti di vecchio stampo mentre
per i più giovani il suo nome non evoca ormai alcuna immagine. Eppure si tratta
di uno strumento con una storia che vale la pena di essere raccontata e a cui
il destino ha assegnato un ruolo sicuramente utile quanto ingrato.
La sua particolarità nasce già dal nome e
dalle sue varianti: genis, clavicorno in mi bemolle,
orsicorno o tromboncino. Tanta varietà appare
quantomeno sospetta, quasi si trattasse di un artificio per confonderne la vera
sua identità.
Nella famiglia dei Flicorni cui fa parte, ogni strumento prende il nome dall’estensione del proprio registro (soprano, tenore ecc.) e dunque, il nostro genis, un nome preciso lo avrebbe: flicorno contralto. Purtroppo è il meno usato. Ma non è questa l’unica originalità che lo contraddistingue dagli altri… parenti. Infatti questo strumento è il solo a possedere due diverse sembianze: la sua forma può prevedere la campana in posizione orizzontale o verticale. Il nome dovrebbe corrispondere al primo dei due modelli, quello simile a una tromba e proprio ciò è causa di un ulteriore equivoco per cui spesso questo strumento è stato assegnato (magari maliziosamente) agli ignari allievi, in valenza di… una tromba un poco più grande.
A confondere le idee contribuiscono infine i
vari manuali in virtù di quell’abusata dicitura che recita: “Metodo per
tromba e congeneri” (ove per
congeneri si intendono tutti gli strumenti della famiglia degli ottoni,
pur tagliati in tonalità diverse).
Fatto sta che il nostro novello studente
di genis o tromba poco più grande che fosse,
nella sua convinta funzione di congenere, iniziava quindi un
percorso didattico in tutto e per tutto simile a quello della tromba. Ciò
garantiva sicurezza e piacevolezza nell’esecuzione di ogni pagina.
I reali problemi si presentavano con
l’inserimento nell’organico bandistico. Intanto la collocazione del genis risultava
ben distante da quella delle trombe. Piuttosto condivideva lo spazio con i
corni (quando c’erano) o più facilmente con i tromboni. Anche gli spartiti
differivano enormemente: squilli e melodie per la tromba, mentre al genis era
affidato un compito forse più agevole, ma sicuramente monotono e noioso. C’era
dunque qualcosa di poco chiaro.
Finalmente qualcuno spiegava al novello
esecutore di genis come in sostanza esistessero tre diverse
funzioni per gli strumenti di una banda: la melodia, il controcanto e
l’accompagnamento. Al genis toccava appunto quest’ultimo.
Ora si potrebbe aprire una finestra sul
perché i musicisti generalmente preferiscano suonare la melodia anziché
l’accompagnamento. Per chi ha avuto esperienze musicali, la domanda potrebbe
apparire pleonastica essendo evidente come le diverse citate funzioni siano indispensabili
per la buona riuscita di qualsiasi esecuzione musicale. Addirittura potremmo azzardare
che l’accompagnamento, cioè l’armonia, abbia la fondamentale funzione di unire,
di fondere tutte le funzioni musicali in un abbraccio fraterno. Eppure
anche in questo caso il genis finiva con il ritrovarsi in una
posizione equivoca e spiacevole.
Per
esempio, poteva capitare che in casa, i genitori chiedessero di suonare qualche
brano eseguito con la banda. In quel caso, con il clarinetto, la tromba, il sax
e anche con il bombardino risultava abbastanza facile riscuotere approvazione
se non entusiasmo. Perfino se la richiesta era posta al suonatore di bassotuba
era possibile suscitare un’approvazione nell’ascoltare il cadenzare dalle note
gravi in un tempo di marcia. Ma con il genis: a chi
poteva interessare quel monotono contrattempo un-pa-un-pa che
suonato in solitudine, senza il battere di alcunché, finiva con il perdere del
tutto la sua naturale e pur utile essenza? Dunque, da questo punto di vista, se
la melodia o anche solo il controcanto, potevano fregiarsi di una sicura
autonomia, il contrattempo, abbandonato a se stesso, come recita il dizionario,
diventava: una circostanza per lo più inattesa o sgradevole.
Eppure, visto dall’esterno sfilare con la
banda, il nostro suonatore con un genis tra le mani poteva
pensare di acquisire comunque una certa dignità. Il problema rimaneva invece
all’interno della stessa, laddove la fama perlomeno ambigua dello strumento si
era ormai divulgata.
Se poi pensiamo che in ogni banda, il
passaggio da uno strumento (congenere) all’altro, sia un atto
assai frequente, spesso dettato da motivi di necessità, ecco materializzarsi
l’ipotesi in cui il maestro sussurrasse,
con voce suadente nell’orecchio di un suonatore di tromba non proprio impeccabile,
la subdola frase:
«Siamo
carenti negli strumenti d’accompagnamento: che ne diresti di passare al genis?»
Le reazioni potevano essere varie e
colorite, ma le ipotesi più frequentate recitavano le dimissioni in toto oppure
più facilmente l’accettazione di codesto calice.
La storia ci testimonia inoltre come il
malessere persecutorio di questo strumento abbia finito con il contagiare anche
i compositori, sempre più restii ad affidargli anche la più semplice e
inoffensiva delle melodie che pur avrebbe risollevato il morale e l’autostima
dell’esecutore. Il quale, col tempo, si assuefaceva talmente a tali limitate
funzioni che in presenza di qualche sporadico e inaspettato intervento melodico,
per non dire solistico, rischiava seriamente di compromettere tale scelta.
Infine la situazione più paradossale poteva
accadere quando uno studente particolarmente dotato o anche solo spinto
dall’entusiasmo decideva di presentarsi all’esame di ammissione in un
Conservatorio di musica. Le espressioni di stupore o peggio le risatine e le
toccate di gomito degli esaminatori non promettevano nulla di buono fino a quando
il presunto candidato suonatore di genis apprendeva che tale
strumento non era contemplato in alcun percorso scolastico.
Stante così le cose era ineluttabile il suo
tramonto.
A poco a poco i genis scomparvero
dagli organici delle nostre bande sostituiti dai più nobili corni, mantenendo
tutt’al più qualche nostalgico esecutore.
In realtà lo strumento sopravvive nelle
brassband anglosassoni e nell’Europa del nord, pur con altro nome (Tenor o
Alto Horn) nella versione verticale, ma con un ruolo ormai delimitato da un
irreversibile processo storico.
Termina così’ una storia, quella del genis,
che potremmo definire senza fine, se nonostante tutte le avversità, in qualche
luogo, in qualche banda, c’è ancora qualcuno che ama quest’umile strumento, che
lo suona e lo suonerà.
Anni fa ho conosciuto due fratelli, Pierino
e Celeste, entrambi suonatori di genis nella Banda di San
Pellegrino Terme, in Valle Brembana, nella provincia di Bergamo. Una volta
dissi loro: «Voi suonate, e bene, il genis, ma non vi sarebbe
piaciuto suonare un altro strumento?»
«No» risposero in coro «noi siamo felici
così!»
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