Il racconto si snoda sospeso tra realtà e fantasia, sogni e ricordi.
Accompagnato dall’amico Virgilio, nel suo peregrinare notturno in una città fantasma, il protagonista si affida a voci misteriose nel desiderio di colmare i lati oscuri del suo passato. Nella vecchia casa della sua infanzia lo attende poi la nonna Rachele, presenza spirituale, che ogni notte prepara per lui gustose pietanze e ne illustra le segrete ricette.
I° Notte
L’ingegner Carlo Alberto Peyrano dormiva profondamente, seduto in una carrozza di prima classe di un vecchio treno a vapore.
Era dipendente delle Ferrovia Statali e si spostava spesso da una città all'altra per il suo lavoro. Ora era prossimo alla pensione e quel vecchio treno, che circolava solo in occasioni speciali, lo stava accompagnando in quello che probabilmente sarebbe stato il suo ultimo incarico.
Prima di
addormentarsi l'ingegnere aveva letto alcune pagine di un voluminoso libro:
“...
Navi nere e roboanti, ancorate nel porto di Santa Maria de los Buenos Aires,
riversavano sui moli la messe industriale dei due emisferi, il colore e il
suono delle quattro razze, lo iodio e il sale dei sette mari; nello stesso
momento, stipate della flora, della fauna e del minerale propri del nostro
territorio, navi alte e solenni facevano rotta nelle otto direzioni del mare
accompagnate da un aspro addio di sirene navali...”
Si trattava di Adan
Buenosaires dello scrittore argentino Leopoldo Marechal. L'ingegnere aveva
notato quel libro sullo scaffale della libreria di una stazione, attratto dal
titolo curioso. A Buenos Aires lui stesso era nato e a soli cinque l'aveva
lasciata per raggiungere l'Italia. Troppo poco per conservare dei chiari ricordi.
Ma neppure in seguito aveva manifestato particolari interessi per il suo paese
d'origine sino a quando non si era imbattuto casualmente in quel testo.
Salito sul treno, aveva letto con curiosità le prime pagine nonostante lo stile prolisso e il linguaggio complesso mettessero a dura prova la sua concentrazione. Ma presto la stanchezza aveva avuto il sopravvento. L'ingegnere si era addormentato e ora stava sognando.
Era come se stesse sfogliando un album di fotografie. Ora si rivedeva piccino, all’ombra degli alberi del suo viale preferito. Seguiva una foto di classe della quinta elementare. Poi eccolo davanti al Liceo con la sua bicicletta. Infine alla stazione, per recarsi all'Università. Saliva sul treno e, come spesso gli accadeva, si addormentava mentre i suoi compagni di viaggio si divertivano a scrivere frasi oscene sui suoi libri...
Un tonfo improvviso lo svegliò. Il libro di Marechal, mosso dagli scossoni del treno, era caduto dal sedile dove lo aveva riposto prima di addormentarsi.
L'ingegnere sbadigliò raccogliendo il libro e cercò un riferimento guardando fuori dal finestrino. Il vetro rispecchiò la sua immagine, ma proprio in quel momento, il fischio prolungato della motrice lo avvertì dell'approssimarsi la stazione.
Si mosse un po'
confuso, in tutta fretta indossò l'impermeabile e recuperò la valigia mentre il
treno lentamente rallentava sino a fermarsi.
Aprì la porta e
scese sulla pensilina. Respirò profondamente e
si guardò intorno: la stazione era deserta. Un tempo avrebbe almeno incontrato
il capostazione con paletta e fischietto, pensò.
Il treno a vapore ripartì sbuffando e scomparve alla vista passando sotto un cavalcavia.
L'ingegnere
indugiò ancora: la stazione era uguale a come la ricordava, quando faceva il
pendolare frequentando il Politecnico. Forse un po' trascurata. Non vi era
alcun sottopasso e pertanto, come allora, fu costretto ad attraversare i binari
per raggiungere l'uscita.
Giunto sulla
piazza cercò un taxi, ma il posteggio era vuoto.
Poteva
proseguire a piedi, la casa non era lontana, ma il sonno fatto sul treno lo
aveva un po’ intorpidito.
Respirò a pieni
polmoni l’aria fresca della notte per risvegliarsi e incamerare energia.
Finalmente
decise di incamminarsi. Percorse tutto il viale e attraversò il corso per
raggiungere la ripida via che conduceva alla Porta Castello. Notò alcune
automobili posteggiate su di un lato della strada e ricoperte da uno spesso
strato di polvere. Parevano abbandonate, più che posteggiate. Qui la gente si
muove ancora a piedi o in bicicletta, fu il suo pensiero. Eppure il silenzio e
l'immobilità del luogo, un po’ lo inquietavano. Non vi erano luci accese alle
finestre. Dormono tutti, pensò.
Si rincuorò
immaginando che l'indomani, al suo risveglio, avrebbe ritrovano la città
allegra e vivace che conservava nei suoi ricordi.
Riprese il
cammino lungo la salita, ma a metà incominciò ad ansimare. Si fermò posando la
valigia. Ricordò di quando ragazzino affrontava quella stessa via in sella alla
bicicletta con l’intento di non fermarsi se non dopo aver superato la Porta
Castello. La città era stata edificata su di un altopiano e qualsiasi strada di
accesso si arrampicava verso l'alto. Questa era la via più breve, ma anche più
ripida.
Giunto al
termine della salita percorse lo stretto corridoio, che un tempo era servito
come riparo per i militari di guardia, quindi svoltò a sinistra, superò ancora
una breve salita e finalmente vide il viale. Quello, era il luogo dove aveva
trascorso lunghi pomeriggi nella sua infanzia, giocando con i compagni sotto lo
sguardo amorevole della nonna. La mamma lo aveva lasciato troppo presto.
Finalmente,
sulla destra del viale iniziava la sua strada. La casa non era lontana,
ma in quell'ultimo tratto si sentì quasi soffocato dai ricordi. Ogni angolo gli
rammentava qualcosa.
Quando fu
davanti al vecchio e imponente portone si fermò. Si ritrasse per osservarlo
meglio: lo ricordava più grande, ma forse era una suggestione infantile. Esitò
ancora e in quell'attimo proruppe il rintocco del campanile del Duomo: il ciuchè,
così era chiamato, batteva la mezzanotte. Finalmente un segnale di vita,
pensò.
Si avvicinò
all'entrata e notò che il portone era socchiuso. Gli parve strano perché dal
suo arrivo non aveva incontrato neppure un’altra persona mentre ora quell’uscio
aperto lasciava presagire il passaggio di qualcuno.
Lo spinse
leggermente ed entrò nell'androne: un'unica flebile luce illuminava, dal fondo,
il cortile. Fece ancora qualche passo quando fu sorpreso da una voce…
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