lunedì 6 giugno 2022

Le Sette Notti dell’ing. Peyrano

Un sogno lungo sette notti accompagna il ritorno dell'ingegner Peyrano, impiegato alle Ferrovie e ormai prossimo alla pensione,  nei luoghi della sua gioventù.
Il racconto si snoda sospeso tra realtà e fantasia, sogni e ricordi.
Accompagnato dall’amico Virgilio, nel suo peregrinare notturno in una città fantasma, il protagonista si affida a voci misteriose nel desiderio di colmare i lati oscuri del suo passato. Nella vecchia casa della sua infanzia lo attende poi la nonna Rachele, presenza spirituale, che ogni notte prepara per lui gustose pietanze e ne illustra le segrete ricette. 


I° Notte

L’ingegner Carlo Alberto Peyrano dormiva profondamente, seduto in una carrozza di prima classe di un vecchio treno a vapore.

     Era dipendente delle Ferrovia Statali e si spostava spesso da una città all'altra per il suo lavoro. Ora era prossimo alla pensione e quel vecchio treno, che circolava solo in occasioni speciali, lo stava accompagnando in quello che probabilmente sarebbe stato il suo ultimo incarico.

     Prima di addormentarsi l'ingegnere aveva letto alcune pagine di un voluminoso libro:

     “... Navi nere e roboanti, ancorate nel porto di Santa Maria de los Buenos Aires, riversavano sui moli la messe industriale dei due emisferi, il colore e il suono delle quattro razze, lo iodio e il sale dei sette mari; nello stesso momento, stipate della flora, della fauna e del minerale propri del nostro territorio, navi alte e solenni facevano rotta nelle otto direzioni del mare accompagnate da un aspro addio di sirene navali...”

   Si trattava di Adan Buenosaires dello scrittore argentino Leopoldo Marechal. L'ingegnere aveva notato quel libro sullo scaffale della libreria di una stazione, attratto dal titolo curioso. A Buenos Aires lui stesso era nato e a soli cinque l'aveva lasciata per raggiungere l'Italia. Troppo poco per conservare dei chiari ricordi. Ma neppure in seguito aveva manifestato particolari interessi per il suo paese d'origine sino a quando non si era imbattuto casualmente in quel testo. 

    Salito sul treno, aveva letto con curiosità le prime pagine nonostante lo stile prolisso e il linguaggio complesso mettessero a dura prova la sua concentrazione. Ma presto la stanchezza aveva avuto il sopravvento. L'ingegnere si era addormentato e ora stava sognando.

    Era come se stesse sfogliando un album di fotografie. Ora si rivedeva piccino, all’ombra degli alberi del suo viale preferito. Seguiva una foto di classe della quinta elementare. Poi eccolo davanti al Liceo con la sua bicicletta. Infine alla stazione, per recarsi all'Università. Saliva sul treno e, come spesso gli accadeva, si addormentava mentre i suoi compagni di viaggio si divertivano a scrivere frasi oscene sui suoi libri...

    Un tonfo improvviso lo svegliò. Il libro di Marechal, mosso dagli scossoni del treno, era caduto dal sedile dove lo aveva riposto prima di addormentarsi.

    L'ingegnere sbadigliò raccogliendo il libro e cercò un riferimento guardando fuori dal finestrino. Il vetro rispecchiò la sua immagine, ma proprio in quel momento, il fischio prolungato della motrice lo avvertì dell'approssimarsi la stazione.

    Si mosse un po' confuso, in tutta fretta indossò l'impermeabile e recuperò la valigia mentre il treno lentamente rallentava sino a fermarsi.

    Aprì la porta e scese sulla pensilina. Respirò profondamente e si guardò intorno: la stazione era deserta. Un tempo avrebbe almeno incontrato il capostazione con paletta e fischietto, pensò.

    Il treno a vapore ripartì sbuffando e scomparve alla vista passando sotto un cavalcavia.

    L'ingegnere indugiò ancora: la stazione era uguale a come la ricordava, quando faceva il pendolare frequentando il Politecnico. Forse un po' trascurata. Non vi era alcun sottopasso e pertanto, come allora, fu costretto ad attraversare i binari per raggiungere l'uscita.

    Giunto sulla piazza cercò un taxi, ma il posteggio era vuoto.

    Poteva proseguire a piedi, la casa non era lontana, ma il sonno fatto sul treno lo aveva un po’ intorpidito.

    Respirò a pieni polmoni l’aria fresca della notte per risvegliarsi e incamerare energia.

    Finalmente decise di incamminarsi. Percorse tutto il viale e attraversò il corso per raggiungere la ripida via che conduceva alla Porta Castello. Notò alcune automobili posteggiate su di un lato della strada e ricoperte da uno spesso strato di polvere. Parevano abbandonate, più che posteggiate. Qui la gente si muove ancora a piedi o in bicicletta, fu il suo pensiero. Eppure il silenzio e l'immobilità del luogo, un po’ lo inquietavano. Non vi erano luci accese alle finestre. Dormono tutti, pensò.

   Si rincuorò immaginando che l'indomani, al suo risveglio, avrebbe ritrovano la città allegra e vivace che conservava nei suoi ricordi.

    Riprese il cammino lungo la salita, ma a metà incominciò ad ansimare. Si fermò posando la valigia. Ricordò di quando ragazzino affrontava quella stessa via in sella alla bicicletta con l’intento di non fermarsi se non dopo aver superato la Porta Castello. La città era stata edificata su di un altopiano e qualsiasi strada di accesso si arrampicava verso l'alto. Questa era la via più breve, ma anche più ripida.

    Giunto al termine della salita percorse lo stretto corridoio, che un tempo era servito come riparo per i militari di guardia, quindi svoltò a sinistra, superò ancora una breve salita e finalmente vide il viale. Quello, era il luogo dove aveva trascorso lunghi pomeriggi nella sua infanzia, giocando con i compagni sotto lo sguardo amorevole della nonna. La mamma lo aveva lasciato troppo presto.

    Finalmente, sulla destra del viale iniziava la sua strada. La casa non era lontana, ma in quell'ultimo tratto si sentì quasi soffocato dai ricordi. Ogni angolo gli rammentava qualcosa.

    Quando fu davanti al vecchio e imponente portone si fermò. Si ritrasse per osservarlo meglio: lo ricordava più grande, ma forse era una suggestione infantile. Esitò ancora e in quell'attimo proruppe il rintocco del campanile del Duomo: il ciuchè, così era chiamato, batteva la mezzanotte. Finalmente un segnale di vita, pensò.

   Si avvicinò all'entrata e notò che il portone era socchiuso. Gli parve strano perché dal suo arrivo non aveva incontrato neppure un’altra persona mentre ora quell’uscio aperto lasciava presagire il passaggio di qualcuno.

    Lo spinse leggermente ed entrò nell'androne: un'unica flebile luce illuminava, dal fondo, il cortile. Fece ancora qualche passo quando fu sorpreso da una voce…

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