domenica 26 gennaio 2020

Don Pasquale

Dal libro “Suoni la tromba e intrepido...”
LA TROMBA E I GRANDI COMPOSITORI
(… e se fosse proprio andata così? …)

Gaetano Donizetti e il Don Pasquale
Parigi, dicembre 1842
La partitura del Don Pasquale era sul tavolo del salotto. Compiuta. Undici giorni erano stati sufficienti per la sua completa stesura. Undici giorni di duro lavoro, dalle 7 del mattino alle 16 del pomeriggio.
Ora il maestro riposava, esausto. La febbre nervosa gli procurava continue vertigini. Eppure l’unica medicina che riusciva a lenire il dolore era il lavoro. La musica, la sua musica, aveva poteri taumaturgici che solo lui conosceva.
Da più di un’ora, nell’anticamera dell’appartamento al numero 1 di rue Grammont, un uomo, elegante nel portamento quanto tirato nell’espressione del viso, a piccoli intervalli mormorava sommessamente:
«C’est un miracle… un miracolo… ma fin tanto che non vedo lo spartito non ci credo… un miracle… se fra tre giorni iniziamo con le prove…».
Finalmente la fida governante si affacciò alla porta dicendo:
«Signor Tilmant, il maestro l’attende…»
«Oh finalmente» sospirò l’uomo seguendo la donna.
Il maestro sedeva ora sulla poltrona accanto al pianoforte.
«Gaetano, mon ami… la vostra salute ci preoccupa…»
«Ma di più vi preoccupa il mio Don Pasquale… eccolo, lui sta certo meglio di me…»
Tilmant strinse tra le sue la mano del maestro.
«Tra tre giorni inizierò a provare. Abbiamo appena il tempo di copiare le parti per l’orchestra. Veramente non ci speravo più… Solo undici giorni fa…»
Il maestro lo interruppe:
«È meglio che non si sappia. Altrimenti daremo nuova legna ai fautori del “dozzinetti”. Eppure, cosa volete che vi dica… è nella mia natura, di fare bene ciò che ho fatto in fretta. Chi mi critica, spesso a ragione, lo fa di solito su lavori che mi sono costati più tempo e fatica».
«Ma che dite, Gaetano…» cercò di intervenire Tilmant.
«Ma non abbiate timore» lo interruppe il maestro «questo Don Pasquale è un buon lavoro, perché sbocciato come un fiore d’inverno dopo una giornata di sole…»
La discussione fu interrotta dal passo deciso della governante.
«Scusate l’interruzione, ma Signor Tilmant, c’è un giovanotto, un certo Esposito, che chiede di lei e del maestro… io ho cercato di dirgli… ma continua gentilmente a insistere…»
«Oh me n’ero completamente dimenticato…» si scusò Tilmant «… sono imbarazzato… un amico, possiamo farlo entrare?… solo un minuto…».
Il maestro scrutava con occhi incerti, ancora sofferente…
Nella sala fu introdotto un giovane di bassa statura, con vivaci occhi neri, che recava con sé una piccola valigia.
Fu Tilmant a fare le presentazioni.
«Maestro, le presento Monsieur Ciro Esposito, prima tromba dell’orchestra del Théâtre des Italiens, il quale avrebbe da formularle una preghiera».
Il maestro osservò il giovane con attenzione:
«Ciro Esposito avete detto, non mi posso ingannare, voi provenite da Napoli».
«Sono onorato, maestro Donizetti e… naturalmente sì, vengo da Napoli, Pozzuoli per la precisione».
«E che ci fate qui a Parigi, giovanotto?»
«Beh, suono la tromba… ma è una lunga storia…»
«Per un maestro del “presto” le lunghe storie annoiano» intervenne Tilmant «… Esposito, è meglio venire al dunque…».
Il giovane aprì la sua valigia e ne estrasse una tromba dalle forme sinuose.
«Maestro voi più di ogni altro compositore conoscete le possibilità espressive di questo nuovo strumento. Non solo la nobile arte dello squillo: ora la tromba, con l'applicazione dei pistoni, può competere in cantabilità anche con la voce umana. Mi permettete di fare un accenno…»
Tilmant lanciò una severa occhiata al giovane:
«Non potete abusare dell’ospitalità…».
Ma Donizetti, incuriosito, lo interruppe dicendo:
«Ma no, lasciatelo suonare…».
Il giovane ringraziò con un gesto del capo e portò la tromba alle labbra accennando la triste melodia di Fenesta ca lucive ma dopo poche battute si fermò e disse:
«Maestro noi partenopei amiamo la melodia più di qualsiasi altra cosa e questa è la mia preghiera: scrivete una melodia e io la suonerò con tutto il mio sentimento…».
Ancora Tilmant fece un gesto al giovane Esposito:
«Riponete lo strumento. Ora il maestro deve riposare…».
Ma Donizetti, inaspettatamente, si era alzato in piedi e avvicinandosi al pianoforte aveva preso tra le mani la partitura del Don Pasquale. Gli ospiti si erano bloccati in un riguardoso silenzio.
«L’aria di Ernesto» disse sfogliando le pagine «è l’unico momento triste di un’opera gioiosa. Avete una tonalità preferita?» chiese rivolgendosi al giovane Esposito.
«… do minore…» rispose timidamente il ragazzo.
«Do minore… L’aria di Ernesto apre il secondo atto… potremmo farla precedere da un preludio… perché no?»
A qual punto Tilmant non riuscì a dissimulare un certo disappunto:
«Oh Mon Dieu, non intendevo questo… siamo già in ritardo… la partitura deve essere pronta… no, un’altra volta…».
Ma Donizetti, scuotendo il capo, dissimulò un leggero sorriso:
«In fondo è anche colpa vostra… Avete solleticato la mia fantasia… Suvvia la vostra cortesia nei confronti di questo giovanotto vi costerà solo un giorno di ritardo. Per domani sarà tutto pronto… con un preludio in più».
«Maestro, voi siete un angelo…» si lasciò sfuggire il giovane Esposito prima di venir trascinato via dal maestro Tilmant che quasi per scusarsi non trovò di meglio che dire:
«Ces italiens…» per poi portare la mano alla bocca: «… oh excusez moi, Gaetano, volevo dire che voi italiani quando volete ottenere una cosa…».
«La otteniamo, appunto. È un bel complimento» rispose Donizetti. «A domani».

Il Don Pasquale venne rappresentato per la prima volta il 3 gennaio del 1843 presso il Théâtre des Italiens.

Il II atto si apre con un Preludio dove, dopo una breve introduzione, prende avvio un assolo della tromba che propone appunto il tema dell’Aria di Ernesto che verrà poi cantata di lì a poco. Si tratta dell’assolo per tromba più importante di tutto il repertorio operistico dell’Ottocento.

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