LA
TROMBA E I GRANDI COMPOSITORI
(… e
se fosse proprio andata così? …)
Gaetano
Donizetti e il Don Pasquale
Parigi,
dicembre 1842
La partitura
del Don Pasquale era
sul tavolo del salotto. Compiuta. Undici giorni erano stati
sufficienti per la sua completa stesura. Undici giorni di duro
lavoro, dalle 7 del mattino alle 16
del pomeriggio.
Ora il
maestro riposava, esausto. La febbre nervosa gli procurava continue
vertigini. Eppure l’unica medicina che riusciva a lenire il dolore
era il lavoro. La musica, la sua musica, aveva poteri taumaturgici
che solo lui conosceva.
Da più di
un’ora, nell’anticamera dell’appartamento al numero 1 di rue
Grammont, un uomo, elegante nel portamento quanto tirato
nell’espressione del viso, a piccoli intervalli mormorava
sommessamente:
«C’est
un miracle… un miracolo… ma fin tanto che
non vedo lo spartito non ci credo… un
miracle… se fra tre giorni iniziamo con le
prove…».
Finalmente
la fida governante si affacciò alla porta dicendo:
«Signor
Tilmant, il maestro l’attende…»
«Oh
finalmente» sospirò l’uomo seguendo la donna.
Il maestro
sedeva ora sulla poltrona accanto al pianoforte.
«Gaetano,
mon ami… la vostra salute ci preoccupa…»
«Ma di più
vi preoccupa il mio Don Pasquale…
eccolo, lui sta certo meglio di me…»
«Tra tre
giorni inizierò a provare. Abbiamo appena il tempo di copiare le
parti per l’orchestra. Veramente non ci speravo più… Solo undici
giorni fa…»
Il maestro
lo interruppe:
«È meglio
che non si sappia. Altrimenti daremo nuova legna ai fautori del
“dozzinetti”. Eppure, cosa volete che vi dica… è nella mia
natura, di fare bene ciò che ho fatto in fretta. Chi mi critica,
spesso a ragione, lo fa di solito su lavori che mi sono costati più
tempo e fatica».
«Ma che
dite, Gaetano…» cercò di intervenire Tilmant.
«Ma non
abbiate timore» lo interruppe il maestro «questo Don
Pasquale è un buon lavoro, perché sbocciato
come un fiore d’inverno dopo una giornata di sole…»
La
discussione fu interrotta dal passo deciso della governante.
«Scusate
l’interruzione, ma Signor Tilmant, c’è un giovanotto, un certo
Esposito, che chiede di lei e del maestro… io ho cercato di dirgli…
ma continua gentilmente a insistere…»
«Oh me
n’ero completamente dimenticato…» si scusò Tilmant «… sono
imbarazzato… un amico, possiamo farlo entrare?… solo un minuto…».
Il maestro
scrutava con occhi incerti, ancora sofferente…
Nella sala
fu introdotto un giovane di bassa statura, con vivaci occhi neri, che
recava con sé una piccola valigia.
Fu Tilmant a
fare le presentazioni.
«Maestro,
le presento Monsieur
Ciro Esposito, prima tromba dell’orchestra del Théâtre des
Italiens, il quale avrebbe da formularle una preghiera».
Il maestro
osservò il giovane con attenzione:
«Ciro
Esposito avete detto, non mi posso ingannare, voi provenite da
Napoli».
«Sono
onorato, maestro Donizetti e… naturalmente sì, vengo
da Napoli,
Pozzuoli per la precisione».
«E che ci
fate qui a Parigi, giovanotto?»
«Beh, suono
la tromba… ma è una lunga storia…»
«Per un
maestro del “presto” le lunghe storie annoiano» intervenne
Tilmant «… Esposito, è meglio venire al dunque…».
Il giovane
aprì la sua valigia e ne estrasse una tromba dalle forme sinuose.
«Maestro
voi più di ogni altro compositore conoscete le possibilità
espressive di questo nuovo strumento. Non solo la nobile arte dello
squillo: ora la tromba, con l'applicazione dei pistoni, può
competere in cantabilità anche con la voce umana. Mi permettete di
fare un accenno…»
Tilmant
lanciò una severa occhiata al giovane:
«Non potete
abusare dell’ospitalità…».
Ma
Donizetti, incuriosito, lo interruppe dicendo:
«Ma no,
lasciatelo suonare…».
Il giovane
ringraziò con un gesto del capo e portò la tromba alle labbra
accennando la triste melodia di Fenesta ca
lucive… ma
dopo poche battute si fermò e disse:
«Maestro
noi partenopei
amiamo la melodia più di qualsiasi altra cosa e questa è la mia
preghiera: scrivete una melodia e io la suonerò con tutto il mio
sentimento…».
Ancora
Tilmant fece un gesto al giovane Esposito:
«Riponete
lo strumento. Ora il maestro deve riposare…».
Ma
Donizetti, inaspettatamente, si era alzato in piedi e avvicinandosi
al pianoforte aveva preso tra le mani la partitura del Don
Pasquale. Gli ospiti si erano bloccati in un
riguardoso silenzio.
«L’aria
di Ernesto» disse sfogliando le pagine «è l’unico momento triste
di un’opera gioiosa. Avete una tonalità preferita?» chiese
rivolgendosi al giovane Esposito.
«… do
minore…» rispose timidamente il ragazzo.
«Do minore…
L’aria di Ernesto apre il secondo atto… potremmo farla precedere
da un preludio… perché no?»
A qual punto
Tilmant non riuscì a dissimulare un certo disappunto:
«Oh
Mon Dieu, non intendevo questo… siamo già
in ritardo… la partitura deve essere pronta… no, un’altra
volta…».
Ma
Donizetti, scuotendo il capo, dissimulò un leggero sorriso:
«In fondo è
anche colpa vostra… Avete solleticato la mia fantasia… Suvvia la
vostra cortesia nei confronti di questo giovanotto vi costerà solo
un giorno di ritardo. Per domani sarà tutto pronto… con un
preludio in più».
«Maestro,
voi siete un angelo…» si lasciò sfuggire il giovane Esposito
prima di venir trascinato via dal maestro Tilmant che quasi per
scusarsi non trovò di meglio che dire:
«Ces
italiens…» per poi portare la mano alla
bocca: «… oh excusez moi,
Gaetano, volevo dire che voi italiani quando volete ottenere una
cosa…».
«La
otteniamo, appunto. È un bel complimento» rispose Donizetti. «A
domani».
Il Don Pasquale
venne rappresentato per la prima volta il 3 gennaio del 1843 presso
il Théâtre des Italiens.
Il II atto si apre con
un Preludio dove, dopo una breve introduzione, prende avvio un assolo
della tromba che propone appunto il tema dell’Aria di Ernesto che
verrà poi cantata di lì a poco. Si tratta dell’assolo per tromba
più importante di tutto il repertorio operistico dell’Ottocento.
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