Per
un anziano percussionista dell’orchestra del Teatro la recita in matinée (chiamata così, ma siamo nel
primo pomeriggio) può risultare più faticosa di una serale. E’ una questione di
digestione.
Quando
la recita è serale, non c’è tempo per cenare come si conviene e dunque ci si
accontenta di un veloce spuntino (magari si recupera al ritorno a casa…). Ma la
domenica (perché la matinée ha luogo
di prassi la domenica pomeriggio), la domenica dicevamo, ha i suoi obblighi
consacrati e di conseguenza il pasto non può essere frugale. Infatti, dopo un
bel riposo notturno e una sì frugale colazione, verso mezzogiorno la fame
incombe e deve essere soddisfatta. Se ai fornelli c’è poi una di quelle donne
all’antica, nel senso del piacere e abilità di stare tra i fornelli (e così è
per la sua cara consorte), il più è fatto.
Senonché
poi, la recita pomeridiana incombe e in verità, oltre alla digestione, a
complicare le cose ci si mette anche la noia. Perché se va in scena, per
esempio, Il barbiere di Siviglia, gli
interventi della Grancassa a lui affidati si riducono a ben pochi numeri e
quello più importante (quando Don Basilio, interpretando la celebre aria La calunnia è un venticello, culmina il
suo intervento con il detto ..come un
colpo di cannone…) è ormai un lontano ricordo del primo atto.
Queste
e altre cose sta pensando forse l’anziano percussionista mentre distrattamente segue
l’esecuzione.
I
suoi colleghi d’orchestra si impegnano con passione (forse il loro pasto era
stato più leggero) e dal palcoscenico le voci dei protagonisti giungono squillanti
e scandite.
I
tempi del Direttore d’orchestra sono, come al solito brillanti, eppure
quell’altro tempo sembrava non passare mai.
Dalla
sua postazione, confinato dietro ai fagotti, l’anziano percussionista non può
scorgere nemmeno un lembo del palcoscenico eppure, dopo tanti anni e tante
recite, con l’aiuto della fantasia ha ideato un proprio palcoscenico nel quale
si intercalano le voci dei protagonisti. Insomma è come se la sua mente
sviluppasse una regia che solo lui può vedere.
Ora
è il momento del celebre Temporale.
Si trattava di un intermezzo musicale il cui compito è di evidenziare lo stato
d’animo dei vari protagonisti in trepida attesa degli eventi finali.
La
musica inizia furtiva, con due arpeggi del flauto che sembrano esortare un momento
di attenzione. Poi gli archi, con sporadici pizzicati, evocano le prime gocce
di pioggia.
Il
nostro vecchio percussionista è seduto con aria apparentemente assente di
fronte alla Grancassa. Sullo spartito, le battute di pausa si susseguono lente
e continue. E’ inutile contare le misure di brano che non prevede interventi.
Per far risuonare la sua Grancassa dovrà attendere il gran finale.
Accanto
a lui, il collega timpanista, si è nel frattempo alzato in piedi e si prepara,
con le bacchette tra le mani, a ricreare la suggestione del tuono. Ma è ancora
presto.
Ora
l’intensità delle gocce inizia lievemente ad aumentare.
Ecco
allora, all'improvviso e inaspettata, l’idea geniale. O meglio: come
trasformare la noia e una difficile digestione, in poesia.
Dunque,
sul pizzicare sempre più irrequieto degli archi, ecco il braccio sinistro del
nostro vecchio percussionista distendersi come a verificare la caduta delle
prime gocce. Poi, con assoluta naturalezza, estrarre da sotto la sedia un
improbabile ombrello (chi mai potrebbe portare un tale oggetto nel golfo
mistico…) subito aperto con l’incedere della pioggia. Nel frattempo il collega
timpanista ha iniziato ha produrre i primi tuoni, mentre flauti e oboi si ingegnano
a foggiare fulmini e saette.
L’anziano
percussionista si alza allora in piedi e provvede a riparare con il suo
ombrello, per quanto possibile, il collega intento ai timpani, che lo ringrazia
con un lieve sorriso.
Dopo
tanto fragore ore il temporale va scemando. Gli scrosci si fanno più radi, le
gocce rallentano l’intensità, i tuoni si allontanano. Ancora qualche attimo e
poi l’anziano percussionista ripete il gesto di poco prima, allungando il
braccio sinistro fuori dall’ombrello, girando su se stesso il palmo della mano.
La
pioggia è cessata e la musica si distende in brevi armonie. Solo allora
richiude l’ombrello, riponendolo sotto la sedia e riprendendo compostamente il
posto, di fronte alla Grancassa.
Ora,
dal palcoscenico, giunge la voce di Rosina che canta: Oh, qual colpo! Oh qual
colpo inaspettato...
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