Le spedizioni
punitive
(Ottoni e altri
personaggi)
Un tempo
erano la naturale palestra per giovani studenti di conservatorio o il
refugium peccatorum di
vecchi artisti sul viale del tramonto. Erano soprannominate
spedizioni punitive,
ma in senso ironico, in quanto la presunta punizione poteva
riguardare più che altro gli ignari spettatori.
Si trattava
in pratica di realizzare, con pochi mezzi e in brevissimo tempo, una
rappresentazione operistica commissionata da piccoli comuni di
provincia che beneficiavano di modesti contributi statali. Vi erano
poi appositi impresari o improvvisati tali, abilissimi a organizzare
compagnia di canto, scenografia ed orchestra a prezzi stracciati,
almeno per la maggioranza degli artisti. La formula consisteva in un
misto di giovani promesse e vecchi artisti, qualche illustre
professore d’orchestra circondato da giovani alle prime armi. Le
paghe variavano a seconda del grado professionale, ma nessuno se ne
lamentava perché per i più “l’importante era partecipare”.
Le
scenografie e i costumi venivano affittati cercando tra i fondi di
magazzino dei grandi teatri. Il direttore d’orchestra e il
direttore di scena dovevano essere dei “praticoni”, ossia persona
con larga esperienza, che magari nei grandi teatri dove lavoravano
stabilmente non ricevevano il giusto consenso che pensavano di
meritare. Tra i cantanti poteva anche scapparci il “nome” sulla
via del tramonto o qualche corista di teatro con ambizioni da
protagonista. La formazione dell’orchestra seguiva i medesimi
canoni e le prime parti venivano scelte anche in rapporto al
repertorio.
Se si
rappresentava la Lucia
(nel senso di Lucia di Lammermoor di
Donizetti) occorreva ingaggiare (e pagare adeguatamente) un flauto di
alto profilo. Idem per il clarinetto se si rappresentava la Tosca
o la tromba per il Don Pasquale.
Colmate quelle lacune si poteva scegliere tra un campionario vario e
abbondante. Vi erano persino anziani musicisti che testimoniavano di
aver lavorato in spedizioni più o meno punitive per tutto l’arco
della loro carriera sino a guadagnarsi una seppur modesta pensione.
Alle volte lo stesso impresario dell’orchestra altri non era che un
musicista stabile di un teatro che arrotondava lo stipendio
avvalendosi delle proprie conoscenze nell’ambiente.
La
preparazione dell’opera poteva avere tempi brevi se non brevissimi.
Trattandosi di opere di repertorio poteva capitare di avere a
disposizione uno o due giorni di prove, ma anche di andare in scena
con una semplice prova di assestamento fatta alcune ore prima dello
spettacolo. Per completare, spesso le comparse venivano scelte tra le
persone locali, qualche ora prima dello spettacolo e mandate in scena
con improbabili costumi e istruzioni approssimative.
In verità
non sempre le prospettive erano così negative. Poteva anche capitare
di assistere a spettacoli degni di menzione o addirittura a debutti
di giovani artisti poi destinati a futura celebrità. Insomma agli
spettatori si richiedeva molta pazienza e magari un po' di fortuna.
L'orchestra
delle spedizioni punitive aveva
poi alcune curiose particolarità. Sistemata nel golfo mistico
(quando disponibile) oppure assiepata tra il palcoscenico e le prime
file della platea, l'orchestra assumeva spesso un atteggiamento di
sufficienza dovuta al fatto di sentirsi trascurata dal pubblico,
attento solo ai movimenti scenici. Dunque i musicisti si sentivano
liberi di scambiarsi qualche commento durante le battute di pausa,
sbirciare qualche scena sul palcoscenico, o magari appisolarsi come
accadeva spesso ad un anziano percussionista. Allora un trombonista,
seduto poco distante, estraeva dalla tasca della giacca alcuni
sassolini (che facevano evidentemente parte del suo corredo da
perfetto orchestrale) e incominciava a lanciarne qualcuno verso
l'ignaro percussionista che si ridestava sorpreso. Ma uno dei sassi
colpiva anche il piatto sospeso d'innanzi all'uomo proprio in un
momento di massima attenzione. Allora il direttore d'orchestra,
sorpreso dall'imprevisto, lanciava un'occhiata furente al povero
percussionista che tentava con qualche gesto di affermare
maldestramente la sua innocenza.
Abbiamo
accennato al nobile gesto di quel trombonista per sottolineare la
particolare attitudine della sezione ottoni nell'alleviare la noia
dovuta principalmente alle molte battute di pausa. Infatti
normalmente nel corso di un'opera lirica gli ottoni intervengono nei
momenti di massima concitazione, ma poi riposano a lungo nelle parti
melensi, nei duetti d'amore o nelle arie struggenti. Dunque in quei
momenti è facile distrarsi per poi magari farsi trovare impreparati
nel momento opportuno.
Sono tanti
gli aneddoti che potrebbero rappresentare tale situazione. Ne ho
radunati alcuni verificatisi in una località imprecisata, nella
medesima serata che vedeva la rappresentazione di Traviata
del sommo Giuseppe Verdi.
Dunque
dovete sapere che l'opera prende avvio con un delicato preludio
affidato inizialmente ai soli violini. Il brano è talmente noto che
alla prova di assestamento il direttore d'orchestra, visto il tempo
ridotto a disposizione, decide di non eseguire passando direttamente
dall'atto primo che inizia con una fragorosa scala ascendente di
tutti gli ottoni. Occorre a questo punto sottolineare che tra la
prova di assestamento e lo spettacolo vero e proprio vi era sempre
una sostanziale pausa per permettere ai musicisti di ritemprare le
forza con un lauto pasto. Era infatti necessario incamerare le
energie sufficienti per sostenere le circa tre ore di durata dello
spettacolo. Poteva talvolta capitare che qualcuno eccedesse, oltre
che con il cibo, anche con bevande alcoliche, prendendo poi posto in
orchestra in uno stato di leggera euforia. Queste premesse possono
forse parzialmente giustificare il fatto che, all'attacco del
direttore appena salito sul podio e rivolto ai violini, gli ottoni,
dimentichi della presenza del celebre preludio attaccassero
contemporaneamente la fragorosa scala di inizio atto! Lo sguardo
allibito del direttore bastò a fermare gli ottoni, loro stessi un
po' stupiti, ma ormai il danno era fatto!
Che poi la
serata fosse nata sotto falsi auspici se ne ebbe la prova nel terzo
atto, all'approssimarsi del doloroso finale.
Dunque,
Violetta, ormai sul letto di morte, chiama accanto a sé l'amato
Alfredo per un'ultima promessa. Il canto di Violetta è accompagnato
da una sommesso accompagnamento che sottintende una lugubre marcia
funebre. Naturalmente gli ottoni vi partecipano con drammatica
intensità. Prima di questo attacco vi è però il recitativo di
Violetta, accompagnato, come già detto, da tenui accordi degli
archi.
Anche gli
ottoni, come tutti gli altri strumenti, sono pronti all'attacco della
marcia funebre quando, proprio sull'ultimo accordo degli archi
prorompe (una battuta in anticipo!) un perfetto e stentoreo la
bemolle del trombone basso. Il direttore si volta di scatto, con
occhi di fuoco, verso i tromboni, ma il tempo incalza e si deve
preoccupare di dare il corretto attacco per la marcia funebre. Tutti
gli ottoni suonano ora correttamente, ma vuoi a causa della sorpresa
determinata dall'anticipo del trombone basso, vuoi per la tensione
del momento, a qualcuno sfugge un principio di risata.
Orbene, una
persona normale, in simili frangenti, potrebbe tapparsi la bocca o
nascondere il viso, ma una anche se timida risatina, passando
attraversando l'orifizio dello strumento e quindi amplificata dalla
campana, può aver effetti devastanti e soprattutto contagiosi. Fu
così che i vari ottoni, uno dopo l'altro presero a trarre suoni
sempre più simili a barriti e mentre altri tentavano vanamente di
ricomporsi, altri ancora, senza più ritegno, avevano ormai deposto
lo strumento sulle ginocchia abbandonandosi al riso più sfrenato.
Nel
frattempo l'opera volgeva al termine, Violetta si ridestava in un
estremo vaneggiamento prima di accasciarsi mortalmente e gli ottoni,
finalmente ristabiliti, si univano alle sferzate del drammatico
finale. Nonostante tutto scrosciavano gli applausi di un pubblico che
non aveva ben compreso quegli ultimi avvenimenti mentre il direttore
d'orchestra, prima di un forzato saluto al pubblico, mostrava
entrambi i pugni verso la sezione degli ottoni inveendo verso di
loro: “Maledetti, mi ricorderò di voi”. A quel punto tutta le
sezione rivolgeva lo sguardo verso il povero trombone basso, il
quale, allargando le braccia, si giustificava in perfetto dialetto
bergamasco: “Pota, ho sbagliat...”.
Le spedizioni
punitive
(Ottoni e altri
personaggi)
Un tempo
erano la naturale palestra per giovani studenti di conservatorio o il
refugium peccatorum di
vecchi artisti sul viale del tramonto. Erano soprannominate
spedizioni punitive,
ma in senso ironico, in quanto la presunta punizione poteva
riguardare più che altro gli ignari spettatori.
Si trattava
in pratica di realizzare, con pochi mezzi e in brevissimo tempo, una
rappresentazione operistica commissionata da piccoli comuni di
provincia che beneficiavano di modesti contributi statali. Vi erano
poi appositi impresari o improvvisati tali, abilissimi a organizzare
compagnia di canto, scenografia ed orchestra a prezzi stracciati,
almeno per la maggioranza degli artisti. La formula consisteva in un
misto di giovani promesse e vecchi artisti, qualche illustre
professore d’orchestra circondato da giovani alle prime armi. Le
paghe variavano a seconda del grado professionale, ma nessuno se ne
lamentava perché per i più “l’importante era partecipare”.
Le
scenografie e i costumi venivano affittati cercando tra i fondi di
magazzino dei grandi teatri. Il direttore d’orchestra e il
direttore di scena dovevano essere dei “praticoni”, ossia persona
con larga esperienza, che magari nei grandi teatri dove lavoravano
stabilmente non ricevevano il giusto consenso che pensavano di
meritare. Tra i cantanti poteva anche scapparci il “nome” sulla
via del tramonto o qualche corista di teatro con ambizioni da
protagonista. La formazione dell’orchestra seguiva i medesimi
canoni e le prime parti venivano scelte anche in rapporto al
repertorio.
Se si
rappresentava la Lucia
(nel senso di Lucia di Lammermoor di
Donizetti) occorreva ingaggiare (e pagare adeguatamente) un flauto di
alto profilo. Idem per il clarinetto se si rappresentava la Tosca
o la tromba per il Don Pasquale.
Colmate quelle lacune si poteva scegliere tra un campionario vario e
abbondante. Vi erano persino anziani musicisti che testimoniavano di
aver lavorato in spedizioni più o meno punitive per tutto l’arco
della loro carriera sino a guadagnarsi una seppur modesta pensione.
Alle volte lo stesso impresario dell’orchestra altri non era che un
musicista stabile di un teatro che arrotondava lo stipendio
avvalendosi delle proprie conoscenze nell’ambiente.
La
preparazione dell’opera poteva avere tempi brevi se non brevissimi.
Trattandosi di opere di repertorio poteva capitare di avere a
disposizione uno o due giorni di prove, ma anche di andare in scena
con una semplice prova di assestamento fatta alcune ore prima dello
spettacolo. Per completare, spesso le comparse venivano scelte tra le
persone locali, qualche ora prima dello spettacolo e mandate in scena
con improbabili costumi e istruzioni approssimative.
In verità
non sempre le prospettive erano così negative. Poteva anche capitare
di assistere a spettacoli degni di menzione o addirittura a debutti
di giovani artisti poi destinati a futura celebrità. Insomma agli
spettatori si richiedeva molta pazienza e magari un po' di fortuna.
L'orchestra
delle spedizioni punitive aveva
poi alcune curiose particolarità. Sistemata nel golfo mistico
(quando disponibile) oppure assiepata tra il palcoscenico e le prime
file della platea, l'orchestra assumeva spesso un atteggiamento di
sufficienza dovuta al fatto di sentirsi trascurata dal pubblico,
attento solo ai movimenti scenici. Dunque i musicisti si sentivano
liberi di scambiarsi qualche commento durante le battute di pausa,
sbirciare qualche scena sul palcoscenico, o magari appisolarsi come
accadeva spesso ad un anziano percussionista. Allora un trombonista,
seduto poco distante, estraeva dalla tasca della giacca alcuni
sassolini (che facevano evidentemente parte del suo corredo da
perfetto orchestrale) e incominciava a lanciarne qualcuno verso
l'ignaro percussionista che si ridestava sorpreso. Ma uno dei sassi
colpiva anche il piatto sospeso d'innanzi all'uomo proprio in un
momento di massima attenzione. Allora il direttore d'orchestra,
sorpreso dall'imprevisto, lanciava un'occhiata furente al povero
percussionista che tentava con qualche gesto di affermare
maldestramente la sua innocenza.
Abbiamo
accennato al nobile gesto di quel trombonista per sottolineare la
particolare attitudine della sezione ottoni nell'alleviare la noia
dovuta principalmente alle molte battute di pausa. Infatti
normalmente nel corso di un'opera lirica gli ottoni intervengono nei
momenti di massima concitazione, ma poi riposano a lungo nelle parti
melensi, nei duetti d'amore o nelle arie struggenti. Dunque in quei
momenti è facile distrarsi per poi magari farsi trovare impreparati
nel momento opportuno.
Sono tanti
gli aneddoti che potrebbero rappresentare tale situazione. Ne ho
radunati alcuni verificatisi in una località imprecisata, nella
medesima serata che vedeva la rappresentazione di Traviata
del sommo Giuseppe Verdi.
Dunque
dovete sapere che l'opera prende avvio con un delicato preludio
affidato inizialmente ai soli violini. Il brano è talmente noto che
alla prova di assestamento il direttore d'orchestra, visto il tempo
ridotto a disposizione, decide di non eseguire passando direttamente
dall'atto primo che inizia con una fragorosa scala ascendente di
tutti gli ottoni. Occorre a questo punto sottolineare che tra la
prova di assestamento e lo spettacolo vero e proprio vi era sempre
una sostanziale pausa per permettere ai musicisti di ritemprare le
forza con un lauto pasto. Era infatti necessario incamerare le
energie sufficienti per sostenere le circa tre ore di durata dello
spettacolo. Poteva talvolta capitare che qualcuno eccedesse, oltre
che con il cibo, anche con bevande alcoliche, prendendo poi posto in
orchestra in uno stato di leggera euforia. Queste premesse possono
forse parzialmente giustificare il fatto che, all'attacco del
direttore appena salito sul podio e rivolto ai violini, gli ottoni,
dimentichi della presenza del celebre preludio attaccassero
contemporaneamente la fragorosa scala di inizio atto! Lo sguardo
allibito del direttore bastò a fermare gli ottoni, loro stessi un
po' stupiti, ma ormai il danno era fatto!
Che poi la
serata fosse nata sotto falsi auspici se ne ebbe la prova nel terzo
atto, all'approssimarsi del doloroso finale.
Dunque,
Violetta, ormai sul letto di morte, chiama accanto a sé l'amato
Alfredo per un'ultima promessa. Il canto di Violetta è accompagnato
da una sommesso accompagnamento che sottintende una lugubre marcia
funebre. Naturalmente gli ottoni vi partecipano con drammatica
intensità. Prima di questo attacco vi è però il recitativo di
Violetta, accompagnato, come già detto, da tenui accordi degli
archi.
Anche gli
ottoni, come tutti gli altri strumenti, sono pronti all'attacco della
marcia funebre quando, proprio sull'ultimo accordo degli archi
prorompe (una battuta in anticipo!) un perfetto e stentoreo la
bemolle del trombone basso. Il direttore si volta di scatto, con
occhi di fuoco, verso i tromboni, ma il tempo incalza e si deve
preoccupare di dare il corretto attacco per la marcia funebre. Tutti
gli ottoni suonano ora correttamente, ma vuoi a causa della sorpresa
determinata dall'anticipo del trombone basso, vuoi per la tensione
del momento, a qualcuno sfugge un principio di risata.
Orbene, una
persona normale, in simili frangenti, potrebbe tapparsi la bocca o
nascondere il viso, ma una anche se timida risatina, passando
attraversando l'orifizio dello strumento e quindi amplificata dalla
campana, può aver effetti devastanti e soprattutto contagiosi. Fu
così che i vari ottoni, uno dopo l'altro presero a trarre suoni
sempre più simili a barriti e mentre altri tentavano vanamente di
ricomporsi, altri ancora, senza più ritegno, avevano ormai deposto
lo strumento sulle ginocchia abbandonandosi al riso più sfrenato.
Nel
frattempo l'opera volgeva al termine, Violetta si ridestava in un
estremo vaneggiamento prima di accasciarsi mortalmente e gli ottoni,
finalmente ristabiliti, si univano alle sferzate del drammatico
finale. Nonostante tutto scrosciavano gli applausi di un pubblico che
non aveva ben compreso quegli ultimi avvenimenti mentre il direttore
d'orchestra, prima di un forzato saluto al pubblico, mostrava
entrambi i pugni verso la sezione degli ottoni inveendo verso di
loro: “Maledetti, mi ricorderò di voi”. A quel punto tutta le
sezione rivolgeva lo sguardo verso il povero trombone basso, il
quale, allargando le braccia, si giustificava in perfetto dialetto
bergamasco: “Pota, ho sbagliat...”.
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