giovedì 30 marzo 2017

Le spedizioni punitive (Ottoni e altri personaggi)

Le spedizioni punitive
(Ottoni e altri personaggi)



Un tempo erano la naturale palestra per giovani studenti di conservatorio o il refugium peccatorum di vecchi artisti sul viale del tramonto. Erano soprannominate spedizioni punitive, ma in senso ironico, in quanto la presunta punizione poteva riguardare più che altro gli ignari spettatori.
Si trattava in pratica di realizzare, con pochi mezzi e in brevissimo tempo, una rappresentazione operistica commissionata da piccoli comuni di provincia che beneficiavano di modesti contributi statali. Vi erano poi appositi impresari o improvvisati tali, abilissimi a organizzare compagnia di canto, scenografia ed orchestra a prezzi stracciati, almeno per la maggioranza degli artisti. La formula consisteva in un misto di giovani promesse e vecchi artisti, qualche illustre professore d’orchestra circondato da giovani alle prime armi. Le paghe variavano a seconda del grado professionale, ma nessuno se ne lamentava perché per i più “l’importante era partecipare”.

Le scenografie e i costumi venivano affittati cercando tra i fondi di magazzino dei grandi teatri. Il direttore d’orchestra e il direttore di scena dovevano essere dei “praticoni”, ossia persona con larga esperienza, che magari nei grandi teatri dove lavoravano stabilmente non ricevevano il giusto consenso che pensavano di meritare. Tra i cantanti poteva anche scapparci il “nome” sulla via del tramonto o qualche corista di teatro con ambizioni da protagonista. La formazione dell’orchestra seguiva i medesimi canoni e le prime parti venivano scelte anche in rapporto al repertorio.
Se si rappresentava la Lucia (nel senso di Lucia di Lammermoor di Donizetti) occorreva ingaggiare (e pagare adeguatamente) un flauto di alto profilo. Idem per il clarinetto se si rappresentava la Tosca o la tromba per il Don Pasquale. Colmate quelle lacune si poteva scegliere tra un campionario vario e abbondante. Vi erano persino anziani musicisti che testimoniavano di aver lavorato in spedizioni più o meno punitive per tutto l’arco della loro carriera sino a guadagnarsi una seppur modesta pensione. Alle volte lo stesso impresario dell’orchestra altri non era che un musicista stabile di un teatro che arrotondava lo stipendio avvalendosi delle proprie conoscenze nell’ambiente.
La preparazione dell’opera poteva avere tempi brevi se non brevissimi. Trattandosi di opere di repertorio poteva capitare di avere a disposizione uno o due giorni di prove, ma anche di andare in scena con una semplice prova di assestamento fatta alcune ore prima dello spettacolo. Per completare, spesso le comparse venivano scelte tra le persone locali, qualche ora prima dello spettacolo e mandate in scena con improbabili costumi e istruzioni approssimative.
In verità non sempre le prospettive erano così negative. Poteva anche capitare di assistere a spettacoli degni di menzione o addirittura a debutti di giovani artisti poi destinati a futura celebrità. Insomma agli spettatori si richiedeva molta pazienza e magari un po' di fortuna.
L'orchestra delle spedizioni punitive aveva poi alcune curiose particolarità. Sistemata nel golfo mistico (quando disponibile) oppure assiepata tra il palcoscenico e le prime file della platea, l'orchestra assumeva spesso un atteggiamento di sufficienza dovuta al fatto di sentirsi trascurata dal pubblico, attento solo ai movimenti scenici. Dunque i musicisti si sentivano liberi di scambiarsi qualche commento durante le battute di pausa, sbirciare qualche scena sul palcoscenico, o magari appisolarsi come accadeva spesso ad un anziano percussionista. Allora un trombonista, seduto poco distante, estraeva dalla tasca della giacca alcuni sassolini (che facevano evidentemente parte del suo corredo da perfetto orchestrale) e incominciava a lanciarne qualcuno verso l'ignaro percussionista che si ridestava sorpreso. Ma uno dei sassi colpiva anche il piatto sospeso d'innanzi all'uomo proprio in un momento di massima attenzione. Allora il direttore d'orchestra, sorpreso dall'imprevisto, lanciava un'occhiata furente al povero percussionista che tentava con qualche gesto di affermare maldestramente la sua innocenza.
Abbiamo accennato al nobile gesto di quel trombonista per sottolineare la particolare attitudine della sezione ottoni nell'alleviare la noia dovuta principalmente alle molte battute di pausa. Infatti normalmente nel corso di un'opera lirica gli ottoni intervengono nei momenti di massima concitazione, ma poi riposano a lungo nelle parti melensi, nei duetti d'amore o nelle arie struggenti. Dunque in quei momenti è facile distrarsi per poi magari farsi trovare impreparati nel momento opportuno.
Sono tanti gli aneddoti che potrebbero rappresentare tale situazione. Ne ho radunati alcuni verificatisi in una località imprecisata, nella medesima serata che vedeva la rappresentazione di Traviata del sommo Giuseppe Verdi.
Dunque dovete sapere che l'opera prende avvio con un delicato preludio affidato inizialmente ai soli violini. Il brano è talmente noto che alla prova di assestamento il direttore d'orchestra, visto il tempo ridotto a disposizione, decide di non eseguire passando direttamente dall'atto primo che inizia con una fragorosa scala ascendente di tutti gli ottoni. Occorre a questo punto sottolineare che tra la prova di assestamento e lo spettacolo vero e proprio vi era sempre una sostanziale pausa per permettere ai musicisti di ritemprare le forza con un lauto pasto. Era infatti necessario incamerare le energie sufficienti per sostenere le circa tre ore di durata dello spettacolo. Poteva talvolta capitare che qualcuno eccedesse, oltre che con il cibo, anche con bevande alcoliche, prendendo poi posto in orchestra in uno stato di leggera euforia. Queste premesse possono forse parzialmente giustificare il fatto che, all'attacco del direttore appena salito sul podio e rivolto ai violini, gli ottoni, dimentichi della presenza del celebre preludio attaccassero contemporaneamente la fragorosa scala di inizio atto! Lo sguardo allibito del direttore bastò a fermare gli ottoni, loro stessi un po' stupiti, ma ormai il danno era fatto!
Che poi la serata fosse nata sotto falsi auspici se ne ebbe la prova nel terzo atto, all'approssimarsi del doloroso finale.
Dunque, Violetta, ormai sul letto di morte, chiama accanto a sé l'amato Alfredo per un'ultima promessa. Il canto di Violetta è accompagnato da una sommesso accompagnamento che sottintende una lugubre marcia funebre. Naturalmente gli ottoni vi partecipano con drammatica intensità. Prima di questo attacco vi è però il recitativo di Violetta, accompagnato, come già detto, da tenui accordi degli archi.
Anche gli ottoni, come tutti gli altri strumenti, sono pronti all'attacco della marcia funebre quando, proprio sull'ultimo accordo degli archi prorompe (una battuta in anticipo!) un perfetto e stentoreo la bemolle del trombone basso. Il direttore si volta di scatto, con occhi di fuoco, verso i tromboni, ma il tempo incalza e si deve preoccupare di dare il corretto attacco per la marcia funebre. Tutti gli ottoni suonano ora correttamente, ma vuoi a causa della sorpresa determinata dall'anticipo del trombone basso, vuoi per la tensione del momento, a qualcuno sfugge un principio di risata.
Orbene, una persona normale, in simili frangenti, potrebbe tapparsi la bocca o nascondere il viso, ma una anche se timida risatina, passando attraversando l'orifizio dello strumento e quindi amplificata dalla campana, può aver effetti devastanti e soprattutto contagiosi. Fu così che i vari ottoni, uno dopo l'altro presero a trarre suoni sempre più simili a barriti e mentre altri tentavano vanamente di ricomporsi, altri ancora, senza più ritegno, avevano ormai deposto lo strumento sulle ginocchia abbandonandosi al riso più sfrenato.
Nel frattempo l'opera volgeva al termine, Violetta si ridestava in un estremo vaneggiamento prima di accasciarsi mortalmente e gli ottoni, finalmente ristabiliti, si univano alle sferzate del drammatico finale. Nonostante tutto scrosciavano gli applausi di un pubblico che non aveva ben compreso quegli ultimi avvenimenti mentre il direttore d'orchestra, prima di un forzato saluto al pubblico, mostrava entrambi i pugni verso la sezione degli ottoni inveendo verso di loro: “Maledetti, mi ricorderò di voi”. A quel punto tutta le sezione rivolgeva lo sguardo verso il povero trombone basso, il quale, allargando le braccia, si giustificava in perfetto dialetto bergamasco: “Pota, ho sbagliat...”.

Le spedizioni punitive
(Ottoni e altri personaggi)

Un tempo erano la naturale palestra per giovani studenti di conservatorio o il refugium peccatorum di vecchi artisti sul viale del tramonto. Erano soprannominate spedizioni punitive, ma in senso ironico, in quanto la presunta punizione poteva riguardare più che altro gli ignari spettatori.
Si trattava in pratica di realizzare, con pochi mezzi e in brevissimo tempo, una rappresentazione operistica commissionata da piccoli comuni di provincia che beneficiavano di modesti contributi statali. Vi erano poi appositi impresari o improvvisati tali, abilissimi a organizzare compagnia di canto, scenografia ed orchestra a prezzi stracciati, almeno per la maggioranza degli artisti. La formula consisteva in un misto di giovani promesse e vecchi artisti, qualche illustre professore d’orchestra circondato da giovani alle prime armi. Le paghe variavano a seconda del grado professionale, ma nessuno se ne lamentava perché per i più “l’importante era partecipare”.
Le scenografie e i costumi venivano affittati cercando tra i fondi di magazzino dei grandi teatri. Il direttore d’orchestra e il direttore di scena dovevano essere dei “praticoni”, ossia persona con larga esperienza, che magari nei grandi teatri dove lavoravano stabilmente non ricevevano il giusto consenso che pensavano di meritare. Tra i cantanti poteva anche scapparci il “nome” sulla via del tramonto o qualche corista di teatro con ambizioni da protagonista. La formazione dell’orchestra seguiva i medesimi canoni e le prime parti venivano scelte anche in rapporto al repertorio.
Se si rappresentava la Lucia (nel senso di Lucia di Lammermoor di Donizetti) occorreva ingaggiare (e pagare adeguatamente) un flauto di alto profilo. Idem per il clarinetto se si rappresentava la Tosca o la tromba per il Don Pasquale. Colmate quelle lacune si poteva scegliere tra un campionario vario e abbondante. Vi erano persino anziani musicisti che testimoniavano di aver lavorato in spedizioni più o meno punitive per tutto l’arco della loro carriera sino a guadagnarsi una seppur modesta pensione. Alle volte lo stesso impresario dell’orchestra altri non era che un musicista stabile di un teatro che arrotondava lo stipendio avvalendosi delle proprie conoscenze nell’ambiente.
La preparazione dell’opera poteva avere tempi brevi se non brevissimi. Trattandosi di opere di repertorio poteva capitare di avere a disposizione uno o due giorni di prove, ma anche di andare in scena con una semplice prova di assestamento fatta alcune ore prima dello spettacolo. Per completare, spesso le comparse venivano scelte tra le persone locali, qualche ora prima dello spettacolo e mandate in scena con improbabili costumi e istruzioni approssimative.
In verità non sempre le prospettive erano così negative. Poteva anche capitare di assistere a spettacoli degni di menzione o addirittura a debutti di giovani artisti poi destinati a futura celebrità. Insomma agli spettatori si richiedeva molta pazienza e magari un po' di fortuna.
L'orchestra delle spedizioni punitive aveva poi alcune curiose particolarità. Sistemata nel golfo mistico (quando disponibile) oppure assiepata tra il palcoscenico e le prime file della platea, l'orchestra assumeva spesso un atteggiamento di sufficienza dovuta al fatto di sentirsi trascurata dal pubblico, attento solo ai movimenti scenici. Dunque i musicisti si sentivano liberi di scambiarsi qualche commento durante le battute di pausa, sbirciare qualche scena sul palcoscenico, o magari appisolarsi come accadeva spesso ad un anziano percussionista. Allora un trombonista, seduto poco distante, estraeva dalla tasca della giacca alcuni sassolini (che facevano evidentemente parte del suo corredo da perfetto orchestrale) e incominciava a lanciarne qualcuno verso l'ignaro percussionista che si ridestava sorpreso. Ma uno dei sassi colpiva anche il piatto sospeso d'innanzi all'uomo proprio in un momento di massima attenzione. Allora il direttore d'orchestra, sorpreso dall'imprevisto, lanciava un'occhiata furente al povero percussionista che tentava con qualche gesto di affermare maldestramente la sua innocenza.
Abbiamo accennato al nobile gesto di quel trombonista per sottolineare la particolare attitudine della sezione ottoni nell'alleviare la noia dovuta principalmente alle molte battute di pausa. Infatti normalmente nel corso di un'opera lirica gli ottoni intervengono nei momenti di massima concitazione, ma poi riposano a lungo nelle parti melensi, nei duetti d'amore o nelle arie struggenti. Dunque in quei momenti è facile distrarsi per poi magari farsi trovare impreparati nel momento opportuno.
Sono tanti gli aneddoti che potrebbero rappresentare tale situazione. Ne ho radunati alcuni verificatisi in una località imprecisata, nella medesima serata che vedeva la rappresentazione di Traviata del sommo Giuseppe Verdi.
Dunque dovete sapere che l'opera prende avvio con un delicato preludio affidato inizialmente ai soli violini. Il brano è talmente noto che alla prova di assestamento il direttore d'orchestra, visto il tempo ridotto a disposizione, decide di non eseguire passando direttamente dall'atto primo che inizia con una fragorosa scala ascendente di tutti gli ottoni. Occorre a questo punto sottolineare che tra la prova di assestamento e lo spettacolo vero e proprio vi era sempre una sostanziale pausa per permettere ai musicisti di ritemprare le forza con un lauto pasto. Era infatti necessario incamerare le energie sufficienti per sostenere le circa tre ore di durata dello spettacolo. Poteva talvolta capitare che qualcuno eccedesse, oltre che con il cibo, anche con bevande alcoliche, prendendo poi posto in orchestra in uno stato di leggera euforia. Queste premesse possono forse parzialmente giustificare il fatto che, all'attacco del direttore appena salito sul podio e rivolto ai violini, gli ottoni, dimentichi della presenza del celebre preludio attaccassero contemporaneamente la fragorosa scala di inizio atto! Lo sguardo allibito del direttore bastò a fermare gli ottoni, loro stessi un po' stupiti, ma ormai il danno era fatto!
Che poi la serata fosse nata sotto falsi auspici se ne ebbe la prova nel terzo atto, all'approssimarsi del doloroso finale.
Dunque, Violetta, ormai sul letto di morte, chiama accanto a sé l'amato Alfredo per un'ultima promessa. Il canto di Violetta è accompagnato da una sommesso accompagnamento che sottintende una lugubre marcia funebre. Naturalmente gli ottoni vi partecipano con drammatica intensità. Prima di questo attacco vi è però il recitativo di Violetta, accompagnato, come già detto, da tenui accordi degli archi.
Anche gli ottoni, come tutti gli altri strumenti, sono pronti all'attacco della marcia funebre quando, proprio sull'ultimo accordo degli archi prorompe (una battuta in anticipo!) un perfetto e stentoreo la bemolle del trombone basso. Il direttore si volta di scatto, con occhi di fuoco, verso i tromboni, ma il tempo incalza e si deve preoccupare di dare il corretto attacco per la marcia funebre. Tutti gli ottoni suonano ora correttamente, ma vuoi a causa della sorpresa determinata dall'anticipo del trombone basso, vuoi per la tensione del momento, a qualcuno sfugge un principio di risata.
Orbene, una persona normale, in simili frangenti, potrebbe tapparsi la bocca o nascondere il viso, ma una anche se timida risatina, passando attraversando l'orifizio dello strumento e quindi amplificata dalla campana, può aver effetti devastanti e soprattutto contagiosi. Fu così che i vari ottoni, uno dopo l'altro presero a trarre suoni sempre più simili a barriti e mentre altri tentavano vanamente di ricomporsi, altri ancora, senza più ritegno, avevano ormai deposto lo strumento sulle ginocchia abbandonandosi al riso più sfrenato.
Nel frattempo l'opera volgeva al termine, Violetta si ridestava in un estremo vaneggiamento prima di accasciarsi mortalmente e gli ottoni, finalmente ristabiliti, si univano alle sferzate del drammatico finale. Nonostante tutto scrosciavano gli applausi di un pubblico che non aveva ben compreso quegli ultimi avvenimenti mentre il direttore d'orchestra, prima di un forzato saluto al pubblico, mostrava entrambi i pugni verso la sezione degli ottoni inveendo verso di loro: “Maledetti, mi ricorderò di voi”. A quel punto tutta le sezione rivolgeva lo sguardo verso il povero trombone basso, il quale, allargando le braccia, si giustificava in perfetto dialetto bergamasco: “Pota, ho sbagliat...”.

Nessun commento:

Posta un commento