Ci
sono ricordi che il nostro inconscio nasconde in uno scrigno segreto, così
segreto da non fornire la chiave per aprirlo e tanto meno le ragioni di una
tale scelta. Così può capitare di tenere ben a mente immagini che avremmo volentieri
dimenticato e di ometterne altre magari inoffensive. Ma in fondo non si può
ricordare tutto, qualcosa bisogna eliminare.
Alle
volte però succede che da un semplice pensiero si sprigioni, in tutt’altra
direzione, una specie di epifania, per dirla “alla Proust”: assaporando il gusto di un semplice biscotto
si apre quello scrigno segreto e si materializza nella tua mente un ricordo che
credevi dimenticato.
Questo
è successo a me, in un pomeriggio uggioso.
Stavo
cercando su google informazioni su un celebre musicista con cui avevo collaborato
anni fa ed ecco aprirsi lo scrigno con un ricordo dimenticato. Si trattava di
un fatto bizzarro accaduto durante un concerto a cui avevo partecipato in veste
di esecutore e che lo aveva molto divertito. Accadeva così che nel corso dei
nostri incontri, in presenza di nuovi ospiti, mi invitava a raccontarlo.
Ora,
immaginando di essere suoi ospiti, lo racconterò anche a voi.
Preciso
che non tutto mi è chiaro di quel ricordo, un po’ come se si trattasse di un
sogno e forse è meglio così.
Dunque,
in quel periodo stavo collaborando con una prestigiosa orchestra e si presentò l’opportunità
di realizzare un concerto per “soli ottoni”. Soli stava anche a significare che il gruppo
non avrebbe avuto l’ausilio di alcun direttore. Suonare senza direttore è da
sempre il sogno, nemmeno troppo segreto, di ogni strumentista. Poter decidere
cosa suonare, come e con chi, senza dover rispettare i comandi di una bacchetta
seppur di grande valore rappresenta l’apice di indipendenza e libertà che solo
un musicista può comprendere appieno.
Per
questo accetto con entusiasmo la proposta e mi accingo a collaborare con i
colleghi. Si sceglie il programma, si decide la scaletta e si organizzano le
prove in assoluta autonomia.
In
verità non ricordo altro del programma se non una “Canzon XVI a 12” (dunque
eravamo in dodici a suonare…) di Giovanni Gabrieli. Le opere di Gabrieli,
vissuto nel XVI secolo, rievocano lo splendore dell’arte nella repubblica
veneziana e la mirabile acustica a doppi tripli cori della basilica di San Marco.
Le
prove. Senza la presenza di un direttore si materializzano problemi che possono
essere risolti, almeno in parte, se uno tra gli esecutori assume il ruolo di
guida, muovendo lo strumento per indicare attacchi e chiusure dei vari
frammenti musicali. In orchestra l’incarico viene dato solitamente al primo
violino, ma trattandosi di soli ottoni il riferimento più logico conduceva alla
prima tromba. Poi, per tutte le altre indicazioni interpretative, ognuno poteva
permettersi di intervenire, ma essendo io l’ultimo arrivato mi guardavo bene
dal prendere quel genere di iniziative.
Tutto
procedette bene e non vi furono problemi di sorta. E’ certo comunque che le
prove furono poche poiché ricavate tra una prestazione e l’altra dell’orchestra.
Arrivò
infine il giorno, o meglio la sera, del concerto. Non ricordo il luogo, ma
rammento solo una grande chiesa e, particolare da non trascurare, una serie di
microfoni posti al di sopra dei vari leggii, pronti per la registrazione. Il
pubblico, poi, pareva quello delle grandi occasioni.
Entrammo
in chiesa provenendo dalla sacrestia e ci disponemmo in semicerchio inchinandoci
all’applauso del pubblico. Ci guardammo con un cenno di assenso e finalmente la
nostra prima tromba diede l’attacco di inizio al concerto.
Tutto
procedette come previsto sino al brano di Gabrieli. Anche in questo caso ci fu
il consueto attacco e i primi suoni riempirono la chiesa rievocando la
magnificenza della repubblica veneziana.
Ora
devo aprire una parentesi per i meno addetti ai lavori. Dovete sapere che nel XVI
secolo la musica veniva intesa per linee orizzontali. Vale a dire che ogni
strumento disegna una propria linea melodica e l’armonia viene determinata
dall’incrocio e dalla sovrapposizione delle diverse linee melodiche. Si tratta
di uno tecnica oggi inconsueta per gli ascoltatori moderni abituati ad una sola
melodia sostenuta dall’accompagnamento. Naturalmente per dei professionisti non
poteva trattarsi di un particolare
problema. Tuttavia occorre tener conto che nel caso specifico l’organico era
suddiviso in tre diversi cori che procedevano separatamente anche se in
sincronia e considerando inoltre la mancanza di un direttore…
Può
accadere che una di queste melodie inciampi in qualche ostacolo imprevisto: una
piccola imperfezione ritmica che senza l’ausilio di un direttore può essere sufficiente
a creare un lieve scompenso nell’esecuzione. Purtroppo ciò può generare nella
mente degli altri esecutori il dubbio di essere complici di tale alterazione da
cui il tentativo di riparare con altrettante modifiche così da moltiplicare
l’errore anziché correggerlo.
La
certezza che qualcosa di inaspettato fosse accaduto nel corso di
quell’esecuzione incominciò a serpeggiare nella mia mente quando le auliche
armonie di Gabrieli incominciarono ad essere corrotte da improvvise dissonanze
certamente non previste dallo stile di quel tempo.
A
quel punto notai come gli sguardi di molti colleghi iniziarono a trasferirsi
dallo spartito verso una più ampia prospettiva alla ricerca di un qualche
segnale rassicurante. Le diverse espressioni però non promettevano nulla di
buono, mentre gli strumenti continuavano il loro cammino che nel frattempo si
faceva sempre più tortuoso. Sulle nascenti dissonanze si sovrapponevano ora
anche strani incisi ritmici ad indicare che le strade dei singoli strumenti si
erano ormai irrimediabilmente perdute.
Per
farla breve si compì, nell’ arco di pochi secondi, tutto il cammino di oltre
trecento anni di musica e ci ritrovammo a compiere un salto quanto mai
imprevisto da Giovanni Gabrieli ad Arnold Schönberg. Ormai il passo era
compiuto e le divagazioni contrappuntistiche dell’uno si erano riversate nella
dodecafonia dell’altro!
A
qual punto la sonorità del brano andò progressivamente attenuandosi. Era chiaro
che più di uno dei musicisti aveva
ceduto l’onore delle armi interrompendo la propria esecuzione in attesa di
tempi migliori. Solo qualcuno continuava con ostinazione quasi eroica a cercare una via musicale di
uscita. Nell’attenuazione sonora quasi generale un pensiero iniziò a generarsi
nella mente dei più: fermarsi e ricominciare. In quel momento, come ci mancò la
presenza di un direttore!
Sarebbe
bastato un solo movimento della bacchetta per fermare anche i più convinti.
Poi, dopo un sussurrato “da capo”, ecco con un bel gesto far rifiorire le
armonie e gli intrecci di Gabrieli. Ma senza una guida certa tutto diventava
imprevedibile.
Fu
così che ci ritrovammo quasi tutti pronti nell’attesa di un attimo di silenzio
assoluto per ubbidire alle indicazioni della nostra prima tromba. Giunto il
momento, fatale fu forse un’esitazione sull’atteso gesto che convinse i due
cornisti al mio fianco a prendere una infausta iniziativa: dopo un rapido segno di assenso, eccoli attaccare
improvvisamente il loro tema musicale costringendo così gli altri colleghi ad
un salto di fantasia per comprendere quale fosse il punto convenuto. Qualche altro
suono si unì spericolatamente a guisa di un canone più disperato che inverso
generando un nuovo turbine sonoro senza prospettare alcuna via d’uscita.
Tanto
per dare un senso temporale agli avvenimenti: il brano doveva durare non più di
quattro minuti mentre oramai sicuramente il tempo si era dilatato tanto da far
sembrare quello stesso brano la propaggine di una infinita melodia di
wagneriana memoria. E fu proprio in quel momento che il mio sguardo si posò sui
microfoni che crudelmente stavano consegnando all’immortalità quell’esecuzione
così bizzarra…
Sinceramente,
non ricordo come andò a finire. Probabilmente avevo già aperto lo scrigno e rinnegati
quei ricordi nel momento stesso del loro divenire. Credo tuttavia che, al
secondo tentativo di silenzio assoluto, a qualcuno riuscì di sussurrare il
fatidico “da capo” e poi, con la riconosciuta abilità di tutti i musicisti,
portare a termine l’esecuzione, da quel momento, nei quattro minuti canonici.
Questo
è quanto e ancora mi per di sentire le risate dell’amico che ripeteva ai
presenti: “Da Gabrieli a Schönberg, andata e ritorno! Fantastico, trecento anni
di musica in dieci minuti!”
Dimenticavo
una postilla. Al termine del concerto (che, a parte quell’inconveniente, fu
sicuramente un successo) riparammo in sacrestia per raccogliere le nostre cose.
Fummo però raggiunti da alcuni spettatori desiderosi, a quanto pare, di
complimentarsi con noi. La mia attenzione fu attratta da due signore di una
certa età, eleganti e gentili, che mi si avvicinarono dicendo:
“Che
giovane maestro! Complimenti a lei. Gli ottoni sono strumenti celestiali.
Bellissimo programma e poi quel Gabrieli… veramente sublime!”.
Impiegai
alcuni secondi per accertarmi sulla sincerità di quel commento e
nell’
oscurità della sacrestia non credo si notò il mio rossore. Ringraziai con
ossequio e tornai a casa pensando che, tutto sommato, spesso la vita non è che
una questione di punti di vista…
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