lunedì 5 febbraio 2018

Da Gabrieli a Schönberg, andata e ritorno.


Ci sono ricordi che il nostro inconscio nasconde in uno scrigno segreto, così segreto da non fornire la chiave per aprirlo e tanto meno le ragioni di una tale scelta. Così può capitare di tenere ben a mente immagini che avremmo volentieri dimenticato e di ometterne altre magari inoffensive. Ma in fondo non si può ricordare tutto, qualcosa bisogna eliminare.
Alle volte però succede che da un semplice pensiero si sprigioni, in tutt’altra direzione, una specie di epifania, per dirla “alla Proust”:  assaporando il gusto di un semplice biscotto si apre quello scrigno segreto e si materializza nella tua mente un ricordo che credevi dimenticato.
Questo è successo a me, in un pomeriggio uggioso.
Stavo cercando su google informazioni su un celebre musicista con cui avevo collaborato anni fa ed ecco aprirsi lo scrigno con un ricordo dimenticato. Si trattava di un fatto bizzarro accaduto durante un concerto a cui avevo partecipato in veste di esecutore e che lo aveva molto divertito. Accadeva così che nel corso dei nostri incontri, in presenza di nuovi ospiti, mi invitava a raccontarlo.
Ora, immaginando di essere suoi ospiti, lo racconterò anche a voi.

Preciso che non tutto mi è chiaro di quel ricordo, un po’ come se si trattasse di un sogno e forse è meglio così.
Dunque, in quel periodo stavo collaborando con una prestigiosa orchestra e si presentò l’opportunità di realizzare un concerto per “soli ottoni”.  Soli stava anche a significare che il gruppo non avrebbe avuto l’ausilio di alcun direttore. Suonare senza direttore è da sempre il sogno, nemmeno troppo segreto, di ogni strumentista. Poter decidere cosa suonare, come e con chi, senza dover rispettare i comandi di una bacchetta seppur di grande valore rappresenta l’apice di indipendenza e libertà che solo un musicista può comprendere appieno.
Per questo accetto con entusiasmo la proposta e mi accingo a collaborare con i colleghi. Si sceglie il programma, si decide la scaletta e si organizzano le prove in assoluta autonomia.
In verità non ricordo altro del programma se non una “Canzon XVI a 12” (dunque eravamo in dodici a suonare…) di Giovanni Gabrieli. Le opere di Gabrieli, vissuto nel XVI secolo, rievocano lo splendore dell’arte nella repubblica veneziana e la mirabile acustica a doppi  tripli cori della basilica di San Marco.
Le prove. Senza la presenza di un direttore si materializzano problemi che possono essere risolti, almeno in parte, se uno tra gli esecutori assume il ruolo di guida, muovendo lo strumento per indicare attacchi e chiusure dei vari frammenti musicali. In orchestra l’incarico viene dato solitamente al primo violino, ma trattandosi di soli ottoni il riferimento più logico conduceva alla prima tromba. Poi, per tutte le altre indicazioni interpretative, ognuno poteva permettersi di intervenire, ma essendo io l’ultimo arrivato mi guardavo bene dal prendere quel genere di iniziative.
Tutto procedette bene e non vi furono problemi di sorta. E’ certo comunque che le prove furono poche poiché ricavate tra una prestazione e l’altra dell’orchestra.
Arrivò infine il giorno, o meglio la sera, del concerto. Non ricordo il luogo, ma rammento solo una grande chiesa e, particolare da non trascurare, una serie di microfoni posti al di sopra dei vari leggii, pronti per la registrazione. Il pubblico, poi, pareva quello delle grandi occasioni.
Entrammo in chiesa provenendo dalla sacrestia e ci disponemmo in semicerchio inchinandoci all’applauso del pubblico. Ci guardammo con un cenno di assenso e finalmente la nostra prima tromba diede l’attacco di inizio al concerto.
Tutto procedette come previsto sino al brano di Gabrieli. Anche in questo caso ci fu il consueto attacco e i primi suoni riempirono la chiesa rievocando la magnificenza della repubblica veneziana.
Ora devo aprire una parentesi per i meno addetti ai lavori. Dovete sapere che nel XVI secolo la musica veniva intesa per linee orizzontali. Vale a dire che ogni strumento disegna una propria linea melodica e l’armonia viene determinata dall’incrocio e dalla sovrapposizione delle diverse linee melodiche. Si tratta di uno tecnica oggi inconsueta per gli ascoltatori moderni abituati ad una sola melodia sostenuta dall’accompagnamento. Naturalmente per dei professionisti non poteva trattarsi  di un particolare problema. Tuttavia occorre tener conto che nel caso specifico l’organico era suddiviso in tre diversi cori che procedevano separatamente anche se in sincronia e considerando inoltre la mancanza di un direttore…
Può accadere che una di queste melodie inciampi in qualche ostacolo imprevisto: una piccola imperfezione ritmica che senza l’ausilio di un direttore può essere sufficiente a creare un lieve scompenso nell’esecuzione. Purtroppo ciò può generare nella mente degli altri esecutori il dubbio di essere complici di tale alterazione da cui il tentativo di riparare con altrettante modifiche così da moltiplicare l’errore anziché correggerlo.
La certezza che qualcosa di inaspettato fosse accaduto nel corso di quell’esecuzione incominciò a serpeggiare nella mia mente quando le auliche armonie di Gabrieli incominciarono ad essere corrotte da improvvise dissonanze certamente non previste dallo stile di quel tempo.
A quel punto notai come gli sguardi di molti colleghi iniziarono a trasferirsi dallo spartito verso una più ampia prospettiva alla ricerca di un qualche segnale rassicurante. Le diverse espressioni però non promettevano nulla di buono, mentre gli strumenti continuavano il loro cammino che nel frattempo si faceva sempre più tortuoso. Sulle nascenti dissonanze si sovrapponevano ora anche strani incisi ritmici ad indicare che le strade dei singoli strumenti si erano ormai irrimediabilmente perdute.
Per farla breve si compì, nell’ arco di pochi secondi, tutto il cammino di oltre trecento anni di musica e ci ritrovammo a compiere un salto quanto mai imprevisto da Giovanni Gabrieli ad Arnold Schönberg. Ormai il passo era compiuto e le divagazioni contrappuntistiche dell’uno si erano riversate nella dodecafonia dell’altro!
A qual punto la sonorità del brano andò progressivamente attenuandosi. Era chiaro che più di uno dei musicisti  aveva ceduto l’onore delle armi interrompendo la propria esecuzione in attesa di tempi migliori. Solo qualcuno continuava con ostinazione  quasi eroica a cercare una via musicale di uscita. Nell’attenuazione sonora quasi generale un pensiero iniziò a generarsi nella mente dei più: fermarsi e ricominciare. In quel momento, come ci mancò la presenza di un direttore!
Sarebbe bastato un solo movimento della bacchetta per fermare anche i più convinti. Poi, dopo un sussurrato “da capo”, ecco con un bel gesto far rifiorire le armonie e gli intrecci di Gabrieli. Ma senza una guida certa tutto diventava imprevedibile.
Fu così che ci ritrovammo quasi tutti pronti nell’attesa di un attimo di silenzio assoluto per ubbidire alle indicazioni della nostra prima tromba. Giunto il momento, fatale fu forse un’esitazione sull’atteso gesto che convinse i due cornisti al mio fianco a prendere una infausta iniziativa:  dopo un rapido segno di assenso, eccoli attaccare improvvisamente il loro tema musicale costringendo così gli altri colleghi ad un salto di fantasia per comprendere quale fosse il punto convenuto. Qualche altro suono si unì spericolatamente a guisa di un canone più disperato che inverso generando un nuovo turbine sonoro senza prospettare alcuna via d’uscita.
Tanto per dare un senso temporale agli avvenimenti: il brano doveva durare non più di quattro minuti mentre oramai sicuramente il tempo si era dilatato tanto da far sembrare quello stesso brano la propaggine di una infinita melodia di wagneriana memoria. E fu proprio in quel momento che il mio sguardo si posò sui microfoni che crudelmente stavano consegnando all’immortalità quell’esecuzione così bizzarra…
Sinceramente, non ricordo come andò a finire. Probabilmente avevo già aperto lo scrigno e rinnegati quei ricordi nel momento stesso del loro divenire. Credo tuttavia che, al secondo tentativo di silenzio assoluto, a qualcuno riuscì di sussurrare il fatidico “da capo” e poi, con la riconosciuta abilità di tutti i musicisti, portare a termine l’esecuzione, da quel momento, nei quattro minuti canonici.
Questo è quanto e ancora mi per di sentire le risate dell’amico che ripeteva ai presenti: “Da Gabrieli a Schönberg, andata e ritorno! Fantastico, trecento anni di musica in dieci minuti!”
Dimenticavo una postilla. Al termine del concerto (che, a parte quell’inconveniente, fu sicuramente un successo) riparammo in sacrestia per raccogliere le nostre cose. Fummo però raggiunti da alcuni spettatori desiderosi, a quanto pare, di complimentarsi con noi. La mia attenzione fu attratta da due signore di una certa età, eleganti e gentili, che mi si avvicinarono dicendo:
“Che giovane maestro! Complimenti a lei. Gli ottoni sono strumenti celestiali. Bellissimo programma e poi quel Gabrieli… veramente sublime!”.
Impiegai alcuni secondi per accertarmi sulla sincerità di quel commento e
nell’ oscurità della sacrestia non credo si notò il mio rossore. Ringraziai con ossequio e tornai a casa pensando che, tutto sommato, spesso la vita non è che una questione di punti di vista…

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