Vincenzo,
come al solito, era in ritardo all’appuntamento.
In
attesa, sul piazzale di Santa Maria della Passione, ero ormai tutto intirizzito
dal freddo.
«Un
traffico pazzesco» disse per scusarsi quando finalmente accostò l’auto.
«C’è
già aria natalizia e siamo solo all’inizio di dicembre. Speriamo almeno di
uscire in fretta dalla città.»
«A
proposito. Dove andiamo?» chiese Vincenzo con la solita aria stralunata.
«Dove
andiamo…» risposi «il concerto è a Saronno... o Seregno… questi posti sono
tutti uguali.»
«Suoniamo
per il premio Pozzoli: dov’è nato costui?»
«Cos’è
un’interrogazione? Guarda, sono stanco morto» dissi io esausto «portami dove
vuoi.»
Questo
più o meno fu il dialogo intercorso tra due colleghi trombettisti che si
dirigevano verso il luogo del concerto.
Si
trattava del concerto di premiazione del Concorso pianistico intitolato ad
Ettore Pozzoli. La sera prima avevano suonato a Milano e ora replicavano nella
città natale del musicista. Appunto: Saronno o Seregno?
Oggi,
nell’era di google e google maps, tutto
si sarebbe risolto in un lampo. Ma la storia che vi sto raccontando si svolse
alla fine degli anni ’80 quando, per evitare sorprese, era opportuno fornirsi
di informazioni anticipate.
Il
dilemma fu risolto con un poco professionale “mi sembra” che comunque, rispetto
alla classica monetina, pareva fornire qualche certezza in più. Così optammo
per Saronno.
Il
tragitto fu più agevole del previsto e appena entrati in città ci preoccupammo
di chiede informazioni sul teatro. Quale teatro? Il premio Pozzoli? Nessuna risposta. Poi qualcuno azzardò: forse,
ma non qui… a Seregno.
A
Seregno? Te lo avevo detto! Ma se hai deciso tu! (Seguì animata discussione).
«Non
c’è tempo per discutere» dissi infine in preda a una nascente agitazione
«dobbiamo arrivare in tempo, ora cerchiamo la strada.»
Cercare
la strada non fu così semplice. In linea d’aria le due città non sono molto
distanti, ma forse gli antichi romani non avevano previsto particolari commerci
su questa linea. Fortunatamente il signore che sapeva del Pozzoli ci venne in
soccorso:
«Andare
da Saronno a Seregno è come un labirinto, ma se mi seguite vi posso aiutare.
Devo andare da quelle parti.»
Seguimmo
la suo macchina fino a quando ci indicò la giusta direzione.
Intanto
il tempo passava:
«L’ordine
del programma sarà quello di ieri sera, quindi si inizia con Ravel» dissi io
controllando l’orologio.
«Ottimo,
io non devo suonare» rispose Vincenzo sornione.
«Guarda
a caso in partitura c’è una tromba sola e quella sarei io. Ed è una parte che
non passa neppure inosservata.»
«Magari
non sono puntuali e poi se l’ispettore non ti vede, farà aspettare tutti
quanti.»
«Si,
l’ispettore manco lo guarda il foglio firma.»
Tra
una preoccupazione e l’altra entrammo infine in Seregno.
«Ora
il teatro», mentre l’orologio diceva che mancava un quarto d’ora alle ventuno,
«devo
anche cambiarmi d’abito» dissi trafelato «non mi resta che farlo in auto.»
Cercai
nella borsa i vari indumenti e quindi incominciai a spogliarmi.
Intanto
Vincenzo procedeva a fatica nel traffico cittadino. Si fermò ad un semaforo
proprio nel momento in cui ero in mutande e canottiera. Accanto a noi accostò
un’elegante auto con una distinta signora al volante. Mi guardò e carpii il
disgusto dal suo sguardo, ma non era il caso di preoccuparsi per delle
questioni estetiche.
Finalmente
fummo dinnanzi al teatro. Ero ormai vestito e avevo estratto la tromba dall’astuccio:
«Scendo
qui, non c’è più tempo»: l’orologio segnava le ventuno e tre minuti, ma potevo
solo prevederlo.
Mi
precipito nel teatro come una furia, con la tromba in mano. Una maschera mi
guarda con occhio stupito senza fermarmi. Entro in platea proprio mentre si spengono
le luci e il sipario si apre alla vista dell’orchestra già schierata.
Fortunatamente
il palcoscenico è accessibile da una scaletta laterale.
Salgo
e percorro tutto il retropalco per raggiungere la mia postazione.
Finalmente
mi seggo di fronte al leggio con fare ansimante proprio mentre il direttore e
il pianista entrano con l’applauso del pubblico. Ho solo il tempo di pensare
che nessuno si era accorto della mia assenza, poi il direttore da l’attacco: Maurice Ravel, Concerto in Sol per
pianoforte e orchestra.
Dopo
la breve introduzione dell’ottavino c’è subito un assolo di tromba.
p.s.
Il direttore di quel concerto era l’amico e collega Amedeo Monetti, a tutt’oggi
ignaro del rischio corso. Ma, come si dice, tutto è bene ciò che finisce bene…
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