giovedì 15 febbraio 2018

Ravel, all’ultimo secondo.



Vincenzo, come al solito, era in ritardo all’appuntamento.
In attesa, sul piazzale di Santa Maria della Passione, ero ormai tutto intirizzito dal freddo.
«Un traffico pazzesco» disse per scusarsi quando finalmente accostò l’auto.
«C’è già aria natalizia e siamo solo all’inizio di dicembre. Speriamo almeno di uscire in fretta dalla città.»
«A proposito. Dove andiamo?» chiese Vincenzo con la solita aria stralunata.
«Dove andiamo…» risposi «il concerto è a Saronno... o Seregno… questi posti sono tutti uguali.»
«Suoniamo per il premio Pozzoli: dov’è nato costui?»
«Cos’è un’interrogazione? Guarda, sono stanco morto» dissi io esausto «portami dove vuoi.»
Questo più o meno fu il dialogo intercorso tra due colleghi trombettisti che si dirigevano verso il luogo del concerto.
Si trattava del concerto di premiazione del Concorso pianistico intitolato ad Ettore Pozzoli. La sera prima avevano suonato a Milano e ora replicavano nella città natale del musicista. Appunto: Saronno o Seregno?

Oggi, nell’era di google e google maps, tutto si sarebbe risolto in un lampo. Ma la storia che vi sto raccontando si svolse alla fine degli anni ’80 quando, per evitare sorprese, era opportuno fornirsi di informazioni anticipate.
Il dilemma fu risolto con un poco professionale “mi sembra” che comunque, rispetto alla classica monetina, pareva fornire qualche certezza in più. Così optammo per Saronno.
Il tragitto fu più agevole del previsto e appena entrati in città ci preoccupammo di chiede informazioni sul teatro. Quale teatro? Il premio Pozzoli?  Nessuna risposta. Poi qualcuno azzardò: forse, ma non qui… a Seregno.
A Seregno? Te lo avevo detto! Ma se hai deciso tu! (Seguì animata discussione).
«Non c’è tempo per discutere» dissi infine in preda a una nascente agitazione «dobbiamo arrivare in tempo, ora cerchiamo la strada.»
Cercare la strada non fu così semplice. In linea d’aria le due città non sono molto distanti, ma forse gli antichi romani non avevano previsto particolari commerci su questa linea. Fortunatamente il signore che sapeva del Pozzoli ci venne in soccorso:
«Andare da Saronno a Seregno è come un labirinto, ma se mi seguite vi posso aiutare. Devo andare da quelle parti.»
Seguimmo la suo macchina fino a quando ci indicò la giusta direzione.
Intanto il tempo passava:
«L’ordine del programma sarà quello di ieri sera, quindi si inizia con Ravel» dissi io controllando l’orologio.
«Ottimo, io non devo suonare» rispose Vincenzo sornione.
«Guarda a caso in partitura c’è una tromba sola e quella sarei io. Ed è una parte che non passa neppure inosservata.»
«Magari non sono puntuali e poi se l’ispettore non ti vede, farà aspettare tutti quanti.»
«Si, l’ispettore manco lo guarda il foglio firma.»
Tra una preoccupazione e l’altra entrammo infine in Seregno.
«Ora il teatro», mentre l’orologio diceva che mancava un quarto d’ora alle ventuno,
«devo anche cambiarmi d’abito» dissi trafelato «non mi resta che farlo in auto.»
Cercai nella borsa i vari indumenti e quindi incominciai a spogliarmi.
Intanto Vincenzo procedeva a fatica nel traffico cittadino. Si fermò ad un semaforo proprio nel momento in cui ero in mutande e canottiera. Accanto a noi accostò un’elegante auto con una distinta signora al volante. Mi guardò e carpii il disgusto dal suo sguardo, ma non era il caso di preoccuparsi per delle questioni estetiche.
Finalmente fummo dinnanzi al teatro. Ero ormai vestito e avevo estratto la tromba dall’astuccio:
«Scendo qui, non c’è più tempo»: l’orologio segnava le ventuno e tre minuti, ma potevo solo prevederlo.
Mi precipito nel teatro come una furia, con la tromba in mano. Una maschera mi guarda con occhio stupito senza fermarmi. Entro in platea proprio mentre si spengono le luci e il sipario si apre alla vista dell’orchestra già schierata.
Fortunatamente il palcoscenico è accessibile da una scaletta laterale.
Salgo e percorro tutto il retropalco per raggiungere la mia postazione.
Finalmente mi seggo di fronte al leggio con fare ansimante proprio mentre il direttore e il pianista entrano con l’applauso del pubblico. Ho solo il tempo di pensare che nessuno si era accorto della mia assenza, poi il direttore da l’attacco: Maurice Ravel, Concerto in Sol per pianoforte e orchestra.
Dopo la breve introduzione dell’ottavino c’è subito un assolo di tromba.

p.s. Il direttore di quel concerto era l’amico e collega Amedeo Monetti, a tutt’oggi ignaro del rischio corso. Ma, come si dice, tutto è bene ciò che finisce bene…

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