La
storia del genis ci regala un’appendice
che non fa che confermare l’aura di mistero e tenerezza che circonda questo
strumento.
Come
abbiamo visto nel racconto precedente, il genis
si trovò suo malgrado a contendere un’impossibile egemonia nei confronti del
nobile corno francese.
Non
si sa se l’artificio di cui ora parleremo sia stato opera della mente geniale
di un artigiano o dell’intuito di qualche suonatore. Fatto sta che il genis mutò le proprie spoglie per
travestirsi appunto nelle parvenze di un corno francese.
Come
si attuò questo diabolico progetto?
Per
spiegarlo dobbiamo addentrarci in questioni tecniche di non facile comprensione
che cercheremo di chiarire con adeguata semplicità.
I
non addetti ai lavori devono sapere che tra le varie caratteristiche della
famiglia dei flicorni, la più utile da un punto di vista pratico è quella
determinata dalla loro intercambiabilità. Ossia ogni esecutore può passare con
una certa facilità da un modello all’altro mantenendo inalterata la chiave di
lettura ed il rapporto tra i vari suoni armonici. Cambiano unicamente le
dimensioni dell’imboccatura che con una certa pratica si può assecondare.
Il
corno presenta invece caratteristiche tecniche più complesse a causa dello
sviluppo dei suoi suoni armonici non assimilabile a quello dei flicorni. Inoltre
la predisposizione dei tasti per la mano sinistra (anziché la destra come su tutti
i flicorni) rende l’apprendimento ancora più difficoltoso. Furono infatti queste
particolarità che contribuirono in un primo momento alla convenienza di
sostituire, nell’organico bandistico, i corni con i genis. Tuttavia, considerando la tradizione e le qualità timbriche del corno, non era
difficile pronosticare un pronto
riscatto del più nobile strumento. Fu a questo punto che una mente geniale
quanto diabolica partorì l’idea del travestimento.
Dunque
si prese un tubo della lunghezza del genis
(più corto di quelle di un corno) e lo si rese un po’ più sottile. Poi si
disegnò uno strumento in tutto simile alla forma del corno, ma attenzione, con l’impugnatura dei tasti affidata alla
mano destra. Ora il nostro strumentista,
pur adattandosi all’imboccatura del corno, ritrovava sullo strumento gli stessi
suoni armonici del genis!
Insomma,
a vederlo dall’esterno (e per i più anche dall’interno) pareva proprio che il
suonatore di genis ora si fosse
trasformato in un suonatore di corno!
Ma
di una lotta impari si trattava. Un travestimento, per quanto ben riuscito, si
differenzia sempre dall’originale e prima o poi viene scoperto.
Il
timbro, l’estensione, l’intonazione, le parti in Fa anziché in Mi bemolle e
persino la negata ammissione in Conservatorio continuavano a evidenziare più le
differenze che le uniformità.
Ho
conosciuto diversi suonatori di corno-genis.
Uno
fra tutti è rimasto impresso nella mia memoria. Si chiamava Secchi, ricordo
solo il cognome che lo rappresentava bene nel suo aspetto. Piccolo e magro, il
signor Secchi (così lo chiamavo) abitava nel mio stesso quartiere ed anzi le
nostre case erano confinanti nei muri interni. In pratica non era possibile
osservarci dalle rispettive finestre, ma in cambio potevamo ascoltare a vicenda
i suoni dei nostri strumenti. Lui, pensionato, suonava il corno-genis nella banda del paese, mentre io ero un ragazzino che
da poco aveva iniziato l’apprendistato con la tromba.
Mi
capitava di esercitarmi al pomeriggio nella mia cameretta e alle volte, oltre i
muri, mi giungeva il suono del suo corno-genis
nel tentativo bizzarro, di imitare i miei esercizi del Gatti. Ancora non sapevo
chi fosse questo misterioso simulatore e lo conobbi personalmente qualche tempo
più tardi quando iniziai a partecipare alle scuole serali della banda. Appena
iniziai cautamente a preludiare mi si si avvicinò dicendomi:
«Tu
devi essere il mio vicino di casa. Ti ho riconosciuto dallo stile!»
Mi
guardava con aria sorniona con il suo corno-genis
sotto il braccio, in un atteggiamento che incuteva rispetto e anche un po’ di
timore.
Mi
resi subito conto che si trattava di un personaggio particolare e non capivo
mai se parlava seriamente o per scherzo. Era sempre di buon umore e subito disponibile
a dispensare consigli e sentenze. Teneva sempre un atteggiamento molto
aristocratico e sembrava voler prendere le distanze dagli altri bandisti specie
quando asseriva:
«Vengo
qui per la compagnia, ma sono abituato a ben altri palcoscenici. Pensate che
spesso mi chiamano a suonare alla Scala!»
Noi
giovani eravamo tentati di credere a quelle affermazioni sino a quando qualcuno
più furbo ci faceva osservare che la Scala in questione altro non era che una
celebre osteria della città e del resto il suo pesante alito non faceva che
confermare tali supposizioni. Tuttavia quella della Scala sembrava proprio una
sua ossessione quando asseriva sempre seriamente di poter suonare alla Scala
senza neppure uscire di casa… e la scala era quella di accesso al suo
pianerottolo!
La
sua baldanza si riduceva però di molto quando giungeva il maestro e iniziavano
le prove della banda. Ricordo che sedeva proprio accanto a due suonatori di genis (quello vero) verso i quali
ostentava la sua diversità. Il maestro conosceva i suoi polli e spesso
interrompeva l’esecuzione per verificare la precisione delle varie sezioni.
Quando toccava ai genis-corni eravamo
allora introdotti nei massimi misteri dell’armonia, perché il medesimo accordo,
ad ogni tentativo, assumeva le sembianze più misteriose quasi mai
corrispondenti a quello che il maestro leggeva in partitura. Allora il maestro
perdeva la pazienza e incominciava a inveire vero quei tre poveretti. I due genis ascoltavano con lo sguardo
abbassato, mentre il signor Secchi faceva roteare gli occhi furbetti verso
tutti i presenti quasi gli improperi del maestro non lo riguardassero. Poi,
durante la pausa, a qualcuno che gli si avvicinava, diceva con superiorità:
«Il
maestro non capisce. Il fatto è che io improvviso: oggi una nota, domani un’altra,
la musica è libertà!»
Poi
ci fu quella volta della rappresentazione del Trovatore nel teatro della nostra cittadina. Non era un fatto
consueto e dunque quasi tutti i bandisti acquistarono un biglietto. Ma
stranamente il signor Secchi non era tra questi. Allora fu grande il nostro
stupore quando, nella scena “Di quella pira”, tra gli armigeri pronti ad
arrestare Manrico, fece la sua apparizione proprio il signor Secchi! Finalmente
è entrato nel mondo dell’opera lirica!, pensai. La sera successiva quando ci
ritrovammo alla consueta scuola della banda tutte le attenzioni furono rivolte
proprio a lui per la curiosità di apprendere qualche particolare della sua avventura,
ma il signor Secchi, come suo solito, mantenne un atteggiamento vago e distaccato,
limitandosi a dire:
«Cosa volete, l’orchestra era al completo e allora ho dovuto ripiegare su
di un ruolo minore».
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