giovedì 24 gennaio 2019

Il maestro di trombone



Ci sono persone, incontrate nel corso della vita, per le quali alle volte si avverte il rammarico di non averne approfondito meglio la conoscenza. Ricordando piccoli episodi, magari uniti da un debole filo, riaffiorano allora quesiti e desideri destinati purtroppo a rimanere tali.
Conobbi personalmente il maestro di trombone una sera di tanti anni fa durante la prova dell’orchestra in cui ero stato da poco ingaggiato. Nell’organico stabile non era compreso quello strumento per cui quando necessitava, veniva chiamato un esecutore esterno. Il maestro era il primo trombone nell’orchestra del teatro, ma alle volte trovava il tempo per queste collaborazioni.
Quando ci presentammo, vista la mia giovane età, mi chiese con chi avevo studiato e così venni a sapere che il mio maestro era stato suo compagno di conservatorio. Quel fatto, seppur casuale, contribuì sin da subito a stabilire tra noi una forma di complicità. Da sempre l’appartenenza alla stessa scuola musicale rappresentava una vincolo di sicura importanza.

Quando ne parlai con il mio maestro, aprì una finestra sui suoi anni giovanili:
«Lui era più grande e stava completando gli studi» mi raccontò «io ero un ragazzino,  ma siccome il nostro maestro imponeva agli ultimi arrivati di assistere alle lezioni di tutti i compagni, ho bene in mente quei momenti. Nel corso di quelle lezioni il nostro maestro aveva rimproveri per tutti, ma ricordo che con lui era particolarmente severo. Mi sembra di sentire ancora le sue parole “Non uscirai da questa stanza finché non suonerai come dico io…”.»
Quegli insegnamenti così severi erano comunque serviti se gli avevano consentito di arrivare a ricoprire un ruolo così importante nell’orchestra del teatro e anche ad insegnare in conservatorio.
Da quella volta ci furono diverse altre occasioni in cui mi capitò di sedermi al suo fianco in orchestra e in una di queste mi invitò a suonare nel gruppo di ottoni da lui diretto. Accettai con entusiasmo e orgoglio perché di quel gruppo facevano parte anche alcuni suoi colleghi d’orchestra.  
Ci perdemmo poi di vista per qualche anno sino a quando ci incontrammo nuovamente in conservatorio e questa volta da colleghi, vista la mia fresca nomina. Subito ne approfittò per propormi di collaborare con lui in teatro dove era stato nominato responsabile della banda di palcoscenico: «Ho bisogno di gente fidata» mi disse «e poi a breve abbiamo in programma la Turandot».
Accettai con entusiasmo, ma ben presto mi resi conto che quel riferimento a “gente fidata” aveva buone ragioni di esistere. Infatti l’ambiente in teatro non era come lo avevo immaginato. Sapevo bene che in ogni orchestra i rapporti tra i musicisti possono essere talvolta tesi e controversi, tuttavia mi ero illuso che in un grande teatro si respirasse un’aria più salubre. Mi sbagliavo.
Fui presto avvicinato da vari colleghi che sondavano le mie opinioni e soprattutto cercavano di screditare ai mie occhi la sua figura. Non potevo certo conoscere le ragioni di tali avversità e comunque non avevo alcuna intenzione di partecipare a quelle dispute. Tuttavia il fatto stesso che la mia presenza in teatro fosse dovuta al suo invito mi metteva in una posizione scomoda per non dire equivoca.
Nonostante cercassi di evitare qualsiasi coinvolgimento mi ritrovavo spesso in situazioni imbarazzanti, per non dire paradossali. Così poteva accadere che il maestro di trombone mi desse furtivamente un appuntamento in qualche luogo remoto del teatro per darmi informazioni apparentemente irrilevanti. Poi, quasi si scusava dicendomi: «Sai, qui anche i muri hanno orecchi.»
Le stranezza erano comunque all’ordine del giorno: colleghi che non si rivolgevano la parola, sguardi furtivi, toccate di gomito e il tutto coronato da grandi ipocriti sorrisi.
Una volta mi disse: «Per sopravvivere in questo ambiente devi scegliere: o vittima o carnefice, In mezzo non c’è posto.»
Eppure il mio rapporto con lui fu sempre sincero e leale. Ci capivamo con poche parole e trovavamo anche il modo per sorridere talvolta di quello che ci accadeva intorno. Certo alle volte il suo carattere ombroso ed introverso aveva la meglio e lo rendeva incompatibile con molte persone. Sicuramente anche la nomina quale responsabile della banda di palcoscenico lo aveva posto in una posizione delicata e non da tutti condivisa.
Ne ebbi la conferma quando qualche mese dopo il mio ingresso in teatro fu indetta in tutta fretta un’audizione per la banda di palcoscenico, proprio nel ben mezzo della stagione. A quel punto compresi di essere anch’io una causa di tanto dissenso e pensai di farmi da parte. Un lavoro lo avevo e potevo trovare occasione per suonare anche altrove. Fu il maestro a sorprendermi quando mi comunicò personalmente la data dell’audizione.
«Mi aspetteranno al varco» dissi «è un rischio per entrambi.» Lui aspirò la sua immancabile sigaretta e quasi sorridendo mi rispose: «Ti presenti. Suoni bene. E chiudi la bocca a tutti».
Sembrava più facile a dirsi che a farsi. Ma fui contagiato dal suo ottimismo. Ci pensai qualche giorno e infine mi presentai all’audizione.
C’era una lunga fila di candidati, ma quando chiamarono per l’appello nessuno si fece avanti, cosi anche per liberarmi dall’ansia, mi proposi e fui il primo a suonare di fronte alla commissione. Quando entrai nella sala riconobbi volti noti, tra cui anche quello del maestro, tutto solo in un angolo. Suonai senza pensarci troppo e terminata l’audizione me ne tornai presto a casa, senza attendere l’esito. Qualche giorno dopo incontrai il maestro in conservatorio e questa volta il suo sorriso era più intenso: «Hai visto» mi disse «come ti avevo detto…».
Era un uomo di poche parole e forse per questo motivo molti non lo capivano.
Lo capivano invece e bene i suoi studenti. In conservatorio mi capitava di incontrarne qualcuno che invitavo a parlare del maestro per carpirne qualche segreto.
Sapevo che molti suoi studenti avevano raggiunto risultati ragguardevoli e alcuni di loro ricoprivano ruoli in orchestre prestigiose. Ero incuriosito dal suo modo di insegnare per comprendere come le sue difficoltà e divergenze con il mondo esterno si ribaltassero magicamente all’interno della sua classe.
Ma non ottenni risposte rivelatrici. Forse solo col tempo uno studente riesce a prendere coscienza dei valori profondi di un insegnante. I ragazzi lo temevano per i modi bruschi, lo ammiravano per i risultati che li aiutava a raggiungere, ma non andavano oltre.
Mi divertirono però alcuni racconti riguardo la sua proverbiale distrazione come quando non si accorgeva della presenza in classe di un allievo e usciva dall’aula alla sua ricerca per poi rimproverarlo quando al suo ritorno lo trovava tranquillamente seduto con gli altri allievi. E naturalmente nessuno osava contraddirlo.
Oppure quando in teatro si era riparato in un atrio per fumare indisturbato senza accorgersi del sensore posizionato sopra di lui con il risultato di venire ricoperto a sorpresa da una soffice schiuma bianca fuoriuscita dall’estintore. Per non dire delle volte che gli capitava di recarsi al lavoro in macchina per poi ritornare a casa in tram.
Personalmente sono stato vittima della sua distrazione quella volta in cui mi invitò al bar per una birra. Al momento di pagare si accorse di aver dimenticato il portafoglio nel cappotto, allora misi io stesso una banconota sul bancone. Continuammo nel frattempo a chiacchierare e quando finalmente il barista tornò con il resto il maestro lo intascò con tutta naturalezza ed io non ebbi il coraggio di obiettare, aggiungendo  a bassa voce: «La prossima volta offro io…».
Non aveva grandi rapporti con gli altri colleghi. Anzi quando giungeva in conservatorio per la lezione, in attesa degli allievi, il suo passatempo preferito era quello di sbriciolare un pezzo di pane per gli uccellini che cinguettavano nei pressi del grande albero del chiostro.
Una volta mi raccontò di quando un celebre compositore italiano gli dedicò un concerto e lui lo eseguì in prima assoluta proprio nella sala del conservatorio.
«Era una persona molto sola» mi disse riferendosi al compositore, «era direttore dei corsi estivi di perfezionamento a cui partecipavo come docente. Ci incontravamo alle volte verso sera a passeggiare in un parco. Parlavamo poco, ma una volta mi disse: “Scriverò un concerto per te”. Pochi mesi dopo mi spedì lo spartito.»
Forse proprio la solitudine li aveva fatti incontrare. Entrambi incapaci di comunicare se non per mezzo della musica.

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