mercoledì 18 marzo 2020

Maurice André


Poi arrivò Maurice André…
Si era negli anni sessanta e la musica, quella alla portata di tutti, stava percorrendo la rivoluzione sociale e dei costumi attraverso le canzoni dei Beatles e dei Rolling Stones.
Per gli amanti della tromba i riferimenti potevano essere quelli di un Louis Armstrong già passato alla storia oppure Harry James (ascoltato nel film Bellezze al bagno) oppure Eddie Calvert (con il mitico glissando di Ciliegi rosa).
In Italia, sempre in quegli anni, emergeva una figura di tutto rispetto in Nini Rosso (La ballata della tromba nel ‘61, il Silenzio fuori ordinanza nel ’64) forse ancora più celebre all’estero, come spesso succede.
In un giovane studente del conservatorio si faceva però strada la curiosità e l’interesse di ascoltare qualche esempio solistico di tromba “classica”.  Si trattava in verità di una ricerca quasi impossibile, semplicemente perché, almeno nel nostro paese, era un’attività che ancora non esisteva!
In un negozio di dischi di Cuneo trovai per caso un’incisione della Deutsche Grammophone con il trombettista boemo Adolf Scherbaum, specializzato nel repertorio barocco. Si trattava di una rarità e ad essere sincero, quel disco non mi entusiasmò più di tanto. Michael Haydn, Leopold Mozart e Telemann non potevano incuriosire un ragazzino di quindici anni e neppure il concerto di Joseph Haydn perché, a detta di qualcuno che apparentemente ne sapeva di più, era considerato un pezzo “praticamente ineseguibile”…
Questa era anche la situazione musicale in un’Italia che ancora non riusciva a liberarsi dal fardello tanto nobile quanto costrittivo dell’opera lirica. La tromba era ferma, con tutto il rispetto, alla marcia trionfale dell’Aida.
Poi, come detto, arrivò Maurice André.
In quello stesso negozio mi ritrovai a ricercare su svariati cataloghi la presenza di qualche incisione di tromba classica. Fu il giovane proprietario a indirizzarmi verso la luce:
«In Francia ho sentito parlare di un giovane trombettista che dicono un vero talento. Appena scendo a Nizza, cerco qualche suo disco e te lo porto.»
Occorre precisare che la via del mare per chi sta a Cuneo, almeno allora, passava più velocemente attraverso il Colle di Tenda oltre il quale si giungeva addirittura in Francia, nella vicina Nizza.  
Dunque arrivò finalmente quel disco (che ancora gelosamente conservo), che messo sul piatto del vecchio giradischi di casa mi introdusse all’arte di Maurice André. Il primo brano altro non era che il Preludio corale di Bach, Jésu, que ma joie demeure, dove la tromba dilata una lenta melodia sopra i suggestivi ricami dell’organo. (Si trattava di un’incisione Erato STU 70299 che allora aveva una distribuzione nella sola Francia).
Naturalmente, fu una folgorazione.
A quel disco ne seguirono altri (sempre attraverso quel curioso canale), con musiche dal barocco al contemporaneo, con pianoforte, organo, archi, ma sempre e solo Maurice André.
Mi impressionava lo stile sempre misurato, il virtuosismo mai ostentato, ma soprattutto il suono, unico e inconfondibile.
Passarono alcuni anni e, trasferitomi a Milano, ebbi la fortuna di ascoltare Maurice André, finalmente dal vivo. Una, due volte, eventi rari in un paese che spesso esporta i geni e altrettanto spesso si dimentica di importarli. Pochi, pochissimi i colleghi presenti quella prima sera (tra quelli assenti qualcuno avrebbe poi azzardato: “sì, quel francese, dicono che non sia male, con i trombini…”).
Ma bisognava esserci, per poterlo raccontare.
Un carisma assoluto, quello di Maurice André, che si esprimeva straordinariamente più dal vivo che non sul disco. Una sicurezza assoluta, musicalità innata e il coraggio di quegli acuti finali (una sorpresa perché omessi nel disco), i bis ripetuti che generavano un concerto nel concerto, il pubblico stupito, esaltato, ipnotizzato.
Proprio questo fatto mi colpì. Perché lo stupore, l’ammirazione, l’eccitazione di un trombettista a tali esecuzioni apparivano giustificate e naturali. Ma fu straordinario costatare l’esaltazione quasi isterica di un pubblico eterogeneo, ma non tecnico di quello strumento. Un pubblico che al termine del concerto si alzò in piedi e continuando ad applaudire si accalcò ai piedi del palcoscenico della sala Verdi.
Quella sera, dopo varie ovazioni e una prolungata serie di bis, l’orchestra alla fine si alzò e uscì dalla sala, ma il pubblico non smise di applaudire. Passarono i minuti e gli applausi non cessavano. Allora Maurice André si ripresentò in palcoscenico, indossando un impermeabile, ma sempre con la tromba tra le mani e suonò da solo, ancora.
Allora fu chiaro che la magia di quel momento era dovuta alla qualità del suono di Maurice, unico e
inimitabile. E la mia mente andava alle Sirene di Ulisse piuttosto che al Pifferiaio magico dei fratelli Grimm. Anzi in quel momento ho pensato che se Maurice con l’impermeabile indossato e la sua tromba fosse uscito suonando dalla Sala Verdi per addentrarsi nelle vie di Milano, anch’io e tutti i presenti lo avremmo seguito ormai ipnotizzati dalla bellezza della sua arte.

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