Ci sono strumenti con un nome solo, che tuttalpiù
varia leggermente da una lingua all’altra.
Il violino italiano può diventare al massimo violin,
in un’altra lingua. L’oboe è oboe ovunque.
La tromba può diventare trompette, trumpet,
trompeta, trombeta, ma la sostanza non cambia.
Poi abbiamo il pianoforte che si restringe in
piano, ma in Germania diventa klavier.
Stessa sorte al trombone (posaune), mentre in
lingua inglese il clavicembalo diventa
harpsichord e il fagotto, basson. Se proprio vogliamo esagerare il corno (horn nelle altre lingue) in Spagna è denominato trompa. Ci saranno sicuramente altri casi curiosi.
harpsichord e il fagotto, basson. Se proprio vogliamo esagerare il corno (horn nelle altre lingue) in Spagna è denominato trompa. Ci saranno sicuramente altri casi curiosi.
Ma è innegabile che il
problema si acuisce quando i nomi si moltiplicano nella stessa lingua.
Abbiamo già visto, parlando del genis, come
la questione possa generare equivoci e confusione.
Ma non abbiamo finito poiché ecco spuntare un
altro strumento a crearci interrogativi nella sua denominazione. Uno strumento
in verità per lo più sconosciuto negli ambienti accademici, tanto è vero che quando
finalmente (eravamo nel 2011!) fu inserito dal Ministero tra gli strumenti ammessi
nel Conservatorio, qualche collega domandò incuriosito:
«Ma che strumento è l’eufonio?».
In verità, nei miei ricordi bandistici, trovavo
già un altro nome per identificare quello strumento: bombardino!
Allora è opportuno cominciare dall’inizio.
L’inizio per molti strumenti a fiato coincide
nientedimeno con…Napoleone Buonaparte! Sì, perché fu lui a pretendere che i
suoi eserciti fossero accompagnati da … una Banda, forse rifacendosi alla Roma
imperiale, dove le legioni erano precedute da una Banda di ottoni. A tal
proposito la tradizione vuole che Giulio Cesare, superando il Rubicone, che al
tempo separava la Gallia Cisalpina dal territorio romano (pronunciando la
fatidica frase Alea iacta est - il dado è tratto), destasse gli abitanti
di Rimini al suono dei Cornua e delle Tubae.
Lo sviluppo degli ottoni coincise poi con
l’invenzione dei pistoni (circa 1815) che consentivano la produzione
dell’intera scala cromatica.
Tra i vari nuovi modelli nacque in
quell’epoca la famiglia dei Flicorni ad opera di Adolf Sax e che dal loro
inventore, almeno in Francia, prendono il nome di Saxhorn. Ma già in Germania
strumenti analoghi venivano denominati quali flügelhorn, baryton, tenorbass e tenorbasshorn.
In sostanza si trattava comunque di una
famiglia di ottoni comprendente modelli nelle diverse taglie che consentivano
la copertura di tutta l’estensione vocale.
Dunque, anche in Italia, avevamo un flicorno per
ogni esigenza (sopranino, soprano, contralto, tenore, basso e contrabbasso).
Questo per quanto riguarda la terminologia ufficiale, ma era destino che
venisse ben presto affiancata da quella popolare, per cui, ad esempio, il flicorno
sopranino diventa pistoncino o flicornino, quello contralto, genis e ancora il flicorno baritono, bombardino.
Ma in quest’ultimo caso la promiscuità non si
ferma qui, perché intanto le differenze tra il flicorno tenore e quello
baritono sono assai sottili, un po’ come succede per la voce umana. In sostanza
si tratta di due strumenti con la stessa dimensione in lunghezza mentre
differiscono nella struttura (tecnicamente: canneggio) essendo quella del
baritono di maggiori dimensioni. Infine anche le forme attribuite dai diversi
costruttori possono ingarbugliare ulteriormente le idee.
A questo proposito occorre fare molta
attenzione a non confondere questo strumento dalle varie terminologie con la tuba
wagneriana, dalla forma simile, ma dalla struttura assai diversa essendo questo
uno strumento derivato dal corno (quindi con bocchino e canneggio molto più
stretti).
Giunti a questo punto ecco forse spiegato perché
in alcuni paesi il flicorno baritono o baryton o saxhorn prende il nome di euphonium,
un termine latino scelto nel tentativo di unificare le terminologie.
Ma per non farci mancare nulla, ecco allora
che il nostro Ministero, nelle recenti declaratorie ufficiali, decide di
chiamare questo strumento con un nuovo nome: eufonio.
Allora, ricapitolando: flicorno tenore, flicorno
baritono, bombardino, euphonium, eufonio. A voi la scelta!
In ogni caso, nonostante i suoi travestimenti,
il bombardino (preferisco chiamarlo affettuosamente così) non riuscì ad essere
accolto nell’organico orchestrale. Forse proprio a causa delle sue origini
popolari, come del resto accaduto al altri suoi simili (saxofono, mandolino, la
fisarmonica…). In tali casi si fossilizza in pratica un circolo vizioso dove i
compositori non utilizzano certi strumenti perché non fanno parte dell’organico e viceversa.
Così accade che nelle rare occasioni in cui
il bombardino entra nell’olimpo orchestrale lo fa per evidenziare momenti di
ispirazione popolare o militare e le opere di importanti autori ne prevedono
l’uso (pur usando le terminologie più diverse…) si possono riassumere nelle
dita di una mano.
Quadri in un’esposizione di Moussorgskij-Ravel,
Sinfonia n° 7 di Gustav Mahler, Sinfonietta di Leos Janacek, Pini di Roma di
Ottorino Respighi, il balletto The Golde Age di D.Sostakovic, la suite I
Pianeti di Gustava Holst, Vita d’eroe op.40 di Richard Strauss e quasi sempre
utilizzato in veste solistica, a sottolineare comunque la sua estraneità dall’organico
ufficiale.
L’unico ambito in cui il bombardino trova una
più che degna collocazione è dunque quello bandistico dove la sua funzione è
paragonabile a quella del violoncello in ambito orchestrale.
Ma non solo, perché il timbro vellutato, l’elegante
articolazione e l’ampia estensione dello spettro lo rendono indicato a
sostituire la voce di baritono (o di tenore) nella trascrizioni operistiche che
caratterizzano il repertorio bandistico italiano. Inoltre la sua duttilità lo
rende indispensabile nella funzione “controcanto” (nelle marce da sfilata e
nelle marce sinfoniche) e ne fa appunto lo strumento bandistico più creativo in
quanto adibito a modellare nuove melodie a supporto di quelle originali.
Anche la sua forma (pur
nelle diverse varietà), che consente un abbraccio con l’esecutore, lo rende
strumento assai duttile nella marcia e addirittura nella corsa, tipica delle
fanfare dei bersaglieri.
Questa, in breve la
storia di uno strumento con tanti nomi.
Ma ora, per
alleggerire la lettura, permettetemi di chiudere con questo breve racconto.
Il Bomba. Così lo
avevano soprannominato gli amici della banda per la sua passione per il bombardino,
lo strumento che suonava con una certa abilità e che amava più di un figlio.
Aveva cominciato a
suonarlo quando portava ancora i calzoni corti e aveva continuato a suonarlo
negli anni, nonostante il lavoro in fabbrica lo costringesse a turni che mal si
conciliavano con questa sua passione. Eppure non aveva mai mollato, rinunciando
al sonno, al riposo e a qualche cena. Ma da quando era andato in pensione
quella passione non aveva più avuto ostacoli e anche i vicini avevano dovuto
rassegnarsi a sentirlo esercitarsi ogni pomeriggio immancabilmente dalle sedici
alle diciannove. Perché bisogna ammetterlo: il Bomba quando suonava non si
risparmiava di certo. Ora poi erano subentrati problemi di vista e di udito per
cui gli spartiti avevano bisogna di essere ingranditi, ma soprattutto a essere aumentato
(anche per potersi sentire) era il volume del suo suono.
Allora accadde un
fatto quella volta che ci fu la processione del Venerdì Santo.
Per l’occasione il maestro
della Banda aveva assegnato lo spartito della celebre Marcia funebre di Chopin.
Si trattava di una musica delicata e inoltre occorreva procurarsi qualche
aggeggio per illuminare lo spartito sostenuto dalla lira. Non erano quelli ancora
tempi tecnologici e dunque il problema non era di facile soluzione. Vi era
certo l’opzione di studiare la parte a memoria, ma si sa che questa, in tarda
età incomincia a vacillare. Il Bomba non si perse d’animo e con un ingegno che
solo a lui poteva appartenere escogitò un’invenzione assai curiosa. Fu così che
la sera del Venerdì Santo si presentò alla Banda con un pario di occhiali ornati
alle estremità da due “fanali” (collegati ad una batteria posta nel taschino
della giacca) che avrebbero illuminato lo spartito in modo più che
soddisfacente. Fu subito circondato da vari bandisti che chiedevano
informazioni sull’invenzione e quasi lo rimproveravano di non averli informati per
tempo.
«Si tratta di un prototipo» si giustificò con
orgoglio «e non ho neppure depositato il brevetto!»
Forse fu proprio a causa di quell’imprevista
novità che nessuno pensò di ricordare che quella sera, a causa di imprevisti
lavori in corso, la processione, una volta giunta davanti al Municipio, avrebbe
subito una deviazione rispetto al tragitto consueto. Del resto non era un
problema così pertinente in quanto la Banda
sarebbe stata preceduta dal labaro del Comune con gli agenti di servizio in
grand'uniforme ad indicare la strada.
Dunque la Banda, all’ora stabilita, si
posizionò innanzi al Duomo e quando le sue porte si aprirono dando vita al
corteo, iniziò lentamente a marciare al suono della melodia di Chopin. Il
Bomba, come suo solito era nell’ultima fila, all’estrema sinistra accanto ai
Bassi e aveva azionato a tempo debito l’accensione dei due “fanali” alle
estremità degli occhiali.
La musica scorreva lenta e mesta, come si
conviene in una tale occasione, e il Bomba suonava con la passione e la concentrazione
che lo distinguevano. Forse era troppa l’attenzione alla musica quando,
raggiunto il Municipio la processione e la Banda stessa iniziò una deviazione
sulla destra.
Marciando in inquadramento, nell’occasione di
cambi di direzione occorre controllare l’allineamento e rallentare il passo se
sulla destra e accelerarlo se sulla sinistra. Impresa questa già delicata per
un normale plotone militare, ma figuriamoci per chi fosse pure impegnato
nell’esecuzione musicale. Fatto sta che
il Bomba, abbracciato al suo bombardino, con l’udito ormai affievolito e la
vista forse abbagliata dai curiosi “fanali” … non si avvede della deviazione e
imperterrito continua a marciare nella dritta direzione. Ad accorgersi sono
invece i chierichetti che accompagnano il Prevosto dinanzi alla Croce. Si
guardano sorridendo finché il più scaltro esce dalla processione per rincorrere
il disperso. Il Bomba sta continuando a suonare ormai tutto solo. Sentendosi
toccare la giacca, interrompe l’esecuzione e con gli occhiali illumina il volto
del chierichetto che gli fa segno di girarsi. Guardandosi intorno, scopre la
sua solitudine mentre intravede in lontananza la coda della processione.
Il chierichetto ora corre veloce a recuperare
la posizione. Il Bomba, compresa la situazione, arranca un po’ a fatica. Lungo
la strada qualcuno dei presenti sorride e qualcun altro azzarda:
«Oh, Bomba, più che fuori tempo, sei fuori
strada!»
Ma lui ansimando, non si dà pace: «Hanno
sbagliato! Sono loro che hanno sbagliato strada!»
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